Il 19 luglio 2012 rappresenta una data storica per il Kurdistan: la nascita del confederalismo democratico. Un modello di società evoluta che meriterebbe di essere esportato. Un modello che prosegue da 10 anni, ma oggi più che mai si trova sotto la minaccia delle potenze limitrofe.
La popolazione kurda, avversata e dimenticata dai riflettori dell’opinione pubblica, torna a galla solo in determinate occasioni, e solo per un breve periodo. Qualche settimana fa si è tornato a parlare dei kurdi, in occasione del memorandum d’intesa firmato da Turchia, Svezia e Finlandia per l’ingresso di quest’ultime nella NATO. In quell’occasione, i kurdi ospiti nei due paesi scandinavi sono stati considerati come contropartita per ottenere il parere favorevole di Ankara. Poi più nulla: questa popolazione cade nel dimenticatoio da dove era venuta. Non tutti sanno che i kurdi si sono resi protagonisti di un’eroica lotta contro l’ISIS nel Rojava, regione del Kurdistan siriano. Proprio grazie a questi combattenti pronti a tutto, il califfato è stato allontanato dalla regione e qui, è nato un esperimento democratico decisamente all’avanguardia: il confederalismo democratico.
Rojava: 10 anni di confederalismo democratico
Il 19 luglio 2012 nasce come una sorta di esperimento di autogoverno, il confederalismo democratico. Un modello di stampo socialista, che tiene conto delle istanze ecologiste e femministe e che prevede la partecipazione dal basso. Tutte le istituzioni delle comunità locali sono state ripensate in funzione di questo nuovo principio e la democraticità è stata garantita da una larga base popolare. Tutto questo è avvenuto in un contesto sicuramente non facile come quello della guerra, che nel frattempo imperversava (ed imperversa) nella regione, tra tante difficoltà economiche e sociali. Tuttavia il progetto va avanti nonostante venga osteggiato dalle grandi potenze. Ci ha provato dapprima l’ISIS, ma ora è la Turchia che sta cercando nel Rojava delle porzioni di territorio sempre più ampie, mediante feroci incursioni militari. Nel progetto e nella lotta risiedono le radici del PKK, il partito kurdo dei lavoratori e del suo leader storico Ocalan, ma vi è anche la lotta su tutti i fronti dell’ YPG.
I punti cardine del modello
YPG e PKK rappresentano le basi del confederalismo democratico. Dal loro incontro è venuto fuori questo esperimento tanto amato dalla popolazione ed ostacolato da chi vuole mettere le mani su quei territori. Ma in cosa consiste il confederalismo democratico? Esso nasce da un pensiero elaborato da Ocalan e che ha come punti cardine l’ecologia sociale e il municipalismo libertario. Quest’ultimo è un modello organizzativo che si basa sulla pratica della democrazia diretta per mezzo di assemblee popolari nei villaggi e nelle città, con una larga partecipazione di interventi. Questo modello di gestione si propone come alternativo a quello statale e si propone di modificare anche il sistema economico. In sostanza, contrariamente a quanto avviene con la privatizzazione, dove il potere è in mano ad uno, o alla nazionalizzazione, in cui tutti i meccanismi d’impresa sono di proprietà dello stato, il municipalismo prevede la municipalizzazione delle risorse: i mezzi di sussistenza e di produzione, finiscono nelle mani della comunità intera e non dei singoli. In sostanza il confederalismo è una forma di democrazia ma gestita dal basso, dalle comunità. Una vera e propria rivoluzione, che al momento è visibile solo nel Rojava.
Rivoluzione sotto attacco
Oggi la minaccia dell’ISIS è tenuta sotto controllo. I kurdi hanno in mano il loro Rojava e sanno bene come difendersi dagli uomini del califfato. Tuttavia le minacce non sono finite qui. In questo periodo infatti i grattacapi maggiori li sta dando la Turchia. D’altronde Ankara detiene decine di prigionieri kurdi, senza motivi validi in molti casi. Tra questi vi è lo stesso Ocalan, accusato di terrorismo, così come chiunque altro sia iscritto al PKK, ma è palese che la sua prigionia abbia carattere prettamente politico. Ma la Turchia è anche quel paese che non si sta facendo scrupoli a minacciare attacchi militari su larga scala nel Rojava, ed un annuncio simile, è arrivato proprio alcuni giorni fa, alla vigilia del decimo anniversario della rivoluzione kurda. Erdogan ha recentemente annunciato di voler occupare anche le città di Tel Rifaat e Manbij, andando a ricoprire un pezzo di Siria ancora più ampio. Tutto questo avviene nel completo silenzio-assenso della NATO e della comunità internazionale, che cede ai ricatti della Turchia, che nel frattempo intende ergersi a interlocutore onnipresente sul panorama internazionale.
Manifestazioni di solidarietà
Per ricordare la rivoluzione che il 19 luglio di 10 anni fa diede vita al confederalismo democratico nel Rojava, oggi scendono in piazza le associazioni di kurdi sparsi per il mondo, con varie realtà associative che offrono solidarietà a questo popolo minacciato. In Italia e in Europa, sono previsti numerosi cortei a sostegno del Rojava. Non mancano gli episodi repressivi; a Bologna infatti, pare che una bandiera dell’YPG sia stata sequestrata dalle forze dell’ordine. Nonostante ciò, le manifestazioni, i presidi e i dibattiti riguardo la questione kurda sono più che mai necessari. Oggi che il popolo kurdo è vittima degli attacchi turchi e del silenzio della comunità internazionale, bisogna portare la voce del Kurdistan e del Rojava, affinché si costruiscano percorsi di pace anziché di guerra, e il modello di confederalismo democratico venga esportato in altre parti del mondo.