Il vertice NATO di Madrid si è concluso con l’ennesimo sopruso a danno della popolazione kurda. Svezia e Finlandia, ormai politicamente vicine alla NATO hanno superato l’ostacolo del veto turco. Peccato che a farne le spese è una popolazione martoriata.
Non c’è pace per i kurdi. Nemmeno per quelli che vivono all’estero. La Turchia li considera dei terroristi e costringe gli altri stati europei a considerarli tali, a meno di voler rinunciare a rapporti economici e diplomatici con Ankara. L’ennesima batosta per questo popolo senza stato è arrivata al termine del vertice NATO che si è tenuto a Madrid dal 25 al 28 giugno. L’incontro aveva come perno centrale, il conflitto russo-ucraino, ma anche l’ingresso rapido di Svezia e Finlandia nell’Alleanza Atlantica. Un ingresso caldeggiato da tutti, eccezion fatta per il premier turco Erdogan, il quale si diceva contrario a causa della folta presenza di kurdi in entrambi i paesi e di migliaia di essi ritenuti pericolosi in Turchia. Ieri è arrivata la decisione: Svezia e Finlandia provvederanno ad estradare i kurdi. Il compromesso tra Ankara e i due paesi scandinavi è stato raggiunto, ma a farne le spese, ancora una volta è l’espressione di una popolazione intera.
Cosa è successo prima
Svezia e Finlandia non erano membri NATO. Tuttavia, con l’alleanza, svolgevano attività militari di monitoraggio e controllo dei mari artici, soprattutto per motivi di deterrenza anti-russa. Poi è scoppiato il conflitto tra Russia e Ucraina e, come accaduto per i paesi baltici e la Moldavia, l’incubo crescente di un’invasione da parte di Mosca ha interessato sia la popolazione che le agende politiche. Stoccolma ed Helsinki, hanno quindi caldeggiato l’ipotesi di entrare nella NATO, già accarezzata più volte negli anni addietro. Una volta concretizzata la richiesta, i due stati hanno anche ottenuto il benestare del Segretario Generale della NATO Jens Stoltenberg, il quale si è impegnato affinché per questo caso specifico, la procedura d’ingresso fosse facilitata. Così facendo, Svezia e Finlandia si troverebbero più coperte dal rischio di un’eventuale invasione russa.
La reazione di Erdogan
Se in Europa e negli Stati Uniti, tutti erano d’accordo sull’ingresso nella NATO di questi due nuovi stati, lo stesso non si può dire di Erdogan. In Finlandia, ma soprattutto in Svezia, vivono molti kurdi. Alcuni sono attivisti per la promozione dei diritti della causa kurda, altri hanno imbracciato le armi contro l’ISIS. Tuttavia per il leader turco, queste persone sarebbero vicine al PKK, partito kurdo dei lavoratori, e l’YPG (Unità di Protezione Popolare),ritenute organizzazioni terroristiche in Turchia. Non solo, il governo turco, fa pressioni sulle cancellerie di tutta Europa, affinché perseguano PKK e YPG allo stesso modo, e provvedano ad estradarne i componenti. Praticamente Erdogan cerca complici che lo aiutino nella sistematica repressione dei kurdi. E in molti casi, riesce nel suo obiettivo, in cambio di accordi commerciali, o come avvenuto con Svezia e Finlandia, in cambio di movimenti prettamente geopolitici. Data la folta presenza kurda nei due paesi, Erdogan si è opposto, sin dalle prime battute all’allargamento a Nord dell’Alleanza Atlantica. Era chiaro sin dall’inizio che volesse approfittare dell’occasione per un proprio tornaconto.
Le condizioni
Il no di Erdogan a Svezia e Finlandia era legato proprio alla questione dei kurdi: per entrare in NATO, i due stati dovevano garantire una contropartita vantaggiosa per la politica repressiva del premier turco. Così è stato: fuori i kurdi attivisti e militanti; eroici combattenti usati come merce di scambio e trattati alla stregua di terroristi. Tutto questo, per accontentare le mire di potere di Erdogan e garantire la sicurezza di due paesi, contro il rischio tanto paventato quanto improbabile, di un attacco russo nel breve termine. Al termine del vertice NATO, i Ministri degli Esteri di Svezia, Finlandia e Turchia, hanno siglato un memorandum d’intesa che non promette nulla di buono. Dieci punti che rappresentano le condizioni fondamentali, dettate da Ankara ed accettate in blocco da Stoccolma ed Helsinki; tra questi rientra, oltre all’estradizione dei “terroristi”, anche la ripresa della vendita di armi e il supporto militare e logistico alle operazioni in Kurdistan. Un altro punto, conseguenziale, è l’abbandono di qualsiasi forma di supporto al popolo kurdo.
La verità sui kurdi

Non si tratta di terroristi. I kurdi che fino ad ora, avevano trovato accoglienza e asilo nel Nord dell’Europa, sono militanti, attivisti e guerriglieri, che lottano per un fine nobile: il riconoscimento del Kurdistan come entità distinta. I kurdi sono un popolo ricco di cultura, con usi e costumi che per molti versi differiscono da quelli dominanti dei paesi in cui vivono. Tuttavia, il riconoscimento del Kurdistan come stato indipendente è stato più volte osteggiato dalle grandi potenze mondiali e frutto delle promesse mancate dei trattati di Sèvres e Losanna (1919 e 1923). I kurdi che Erdogan combatte, appartengono a organizzazioni e partiti, ritenuti illegali in Turchia. Il PKK per esempio; un partito resosi protagonista in passato di una vera e propria lotta per l’affermazione del Kurdistan, guidato dal leader storico Abdullah Öcalan. Poi ci sono i già citati attivisti dell’YPG, gruppo armato che ha combattuto e arrestato l’avanzata dell’ISIS, mentre la Turchia apriva le porte ai terroristi del califfato e faceva da apripista per centinaia di foreign fighters. I kurdi invece, sono quelli che hanno combattuto il califfato in prima linea, in particolare in Siria, a Raqqa, nella zona del Rojava dove una consistente comunità kurda ha dato vita ad un interessante esperimento di democrazia confederale; un sistema ancora inedito in altre parti del mondo.
La repressione
Per la Turchia, il Kurdistan non esiste; lo dice la costituzione. La regione riconosciuta come “Kurdistan turco”, viene definita per legge “Anatolia Orientale”. La legge fondamentale dello stato turco non riconosce che, all’interno dei confini turchi, ci siano delle minoranze etniche, anche consistenti: tutti sono turchi. Ma quello kurdo è un popolo orgoglioso delle proprie tradizioni, della propria identità e del proprio modo di essere, ed è per questo che si è sempre battuto. Una battaglia feroce che i governi di Ankara hanno sempre represso nel sangue. Erdogan non è da meno: oramai non si contano più le sparizioni sospette di attivisti kurdi, gli arresti arbitrari di militanti e altrettanti, deceduti a seguito di maltrattamenti in carcere. Con il memorandum d’intesa che la Turchia ha siglato assieme a Svezia e Finlandia, Erdogan ottiene che anche chi ha ottenuto asilo in quei paesi potrà essere estradato e punito in Turchia secondo il modus operandi delle carceri di Ankara.
Le reazioni
Tutto ciò costituisce una violazione dei diritti del popolo kurdo, nonché un vile tradimento da parte di paesi che, da realtà ospitali si sono trasformate in persecutori. Svezia e Finlandia hanno concesso asilo politico soprattutto ai kurdi provenienti dalle zone calde del conflitto contro l’ISIS; inoltre si erano impegnate a garantire l’embargo alla vendita delle armi alla Turchia. Infatti, nel 2019, a seguito dell’avanzata in Sira del Nord, i due paesi scandinavi avevano bloccato l’esportazione di armi di produzione propria verso la Turchia. Oggi anche questo paletto è venuto meno. Per un misero accordo, sono stati spazzati via decenni di solidarietà e supporto alla causa kurda, il tutto sotto l’occhio indifferente dell’Europa intera. Ancora una volta si scrive una pagina di storia a discapito dei kurdi, una minoranza che alza la voce, mentre qualcuno vorrebbe metterla a tacere.
