Il 25 novembre si celebra la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne. In questo momento di celebrazione, in memoria delle tante donne che hanno perso la vita a causa di uomini violenti, è bene interrogarsi sullo stato d’avanzamento in cui versa la società su questo tema. Purtroppo, anche quest’anno bisogna fare i conti con dei dati allarmanti, che, nonostante le campagne di sensibilizzazione, dimostrano un aumento significativo e costante. In Italia, nel solo 2021 infatti, i femminicidi sono aumentati dell’8%, mentre i casi da codice rosso del 10%. Dati che evidenziano non solo la necessità di un intervento urgente, ma anche, talvolta, in mancato funzionamento di meccanismi di sicurezza. Alla base di tutto, i consueti fenomeni culturali, ma anche problemi di degrado sociale ed abbandono. Fatto sta che, ancora una volta, la maggior parte delle violenze avviene dentro casa, ad opera di mariti e parenti vari; da parte di chi avrebbe dovuto dare amore a quelle donne, ma non lo ha fatto.
Come nasce la giornata internazionale contro la violenza sulle donne
Furono le Nazioni Unite nel 1999 che, recependo il grido d’allarme delle donne di tutto il mondo istituirono questa giornata. Nella risoluzione 54/134, la violenza sulle donne è definita come una delle violazioni dei diritti umani più diffuse, persistenti e devastanti che, ad oggi, non viene denunciata a causa dell’impunità , del silenzio, della stigmatizzazione e della vergogna che la caratterizzano. La data del 25 novembre è dedicata alla memoria delle sorelle Mirabal, tre attiviste politiche della Repubblica Dominicana, in lotta contro la dittatura di Rafael Leónidas Trujillo. Il loro impegno politico fu punito quando vennero rapite, stuprate, torturate e strangolate da uomini vicini al regime. Era il 25 novembre 1960. Prima della risoluzione delle Nazioni Unite quindi, l’attivismo femminista latinoamericano si era già mosso, scegliendo proprio il 25 novembre come data di commemorazione.
Violenza sulle donne e femminicidio: come distinguerli
Per comprendere bene un fenomeno tanto vasto quanto grave, bisogna fare chiarezza sui termini. Per una definizione, sancita dall’Articolo 1 della Dichiarazione sull’Eliminazione della violenza contro le Donne, approvata dall’Assemblea Generale dell’ONU, la violenza sulle donne è qualsiasi atto di violenza di genere che si traduca o possa provocare danni o sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche alle donne, comprese le minacce di tali atti, la coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia che avvengano nella vita pubblica che in quella privata. Da questo si evince che le forme di violenza sono molteplici e non riguardano la sola vessazione fisica. Si parla nettamente di violenza sulle donne piuttosto che violenza di genere. Questa nozione che sta ad indicare, qualunque tipo di violenza o abuso, fisico o psicologico, attuato per motivi discriminatori in base al genere sessuale. Nella stragrande maggioranza dei casi, la violenza di genere colpisce le sole donne. Anche la nozione di femminicidio va inserita in un contensto più ampio del semplice omicidio la cui vittima è una donna. Infatti, un tale atto viene universalmente riconosciuto come la manifestazione di una disparità storica nei rapporti di forza tra uomo e donna; una conseguenza di un atteggiamento discriminatorio nei confronti della donna, che perpetuato nel tempo, ha impedito per anni, il risollevamento della condizione femminile.
Il partner come primo colpevole
A destare preoccupazione sono sicuramente i casi limite, ossia quelli che si concludono tragicamente con l’assassinio di una donna dopo anni di violenze o gli stupri sistematici. Questi però, sono quei casi che per la loro tragicità attirano l’attenzione delle cronache e vengono portati alla luce. Tuttavia in Italia sono migliaia le violenze che non vengono segnalate, che passano inosservate o che avvengono senza che nessuno lo sappia, tra le mura domestiche. Infatti, il primo aspetto da segnalare è che nella maggior parte dei casi è proprio il partner a compiere quelle violenze. Talvolta l’omicidio è solo la parte conclusiva di un percorso fatto di abusi, percosse, violenze psicologiche, durato anni e anni. I partner dentro casa e gli ex partner fuori casa, sono queste le figure che più di tutte le altre sono state colpevoli di femminicidio. Le statistiche di questo 2021 segnalano che in Italia ci sono stati 263 omicidi in totale: 63 sono donne, uccise dai propri partner; 109 invece sono stati i femminicidi.
Non solo femminicidi: violenze e molestie
Tuttavia il problema non si arresta alle sole violenze domestiche, come se non bastasse. Gli stupri sono ormai all’ordine del giorno, anche fuori di casa; così come sono frequenti gli abusi, le molestie e lo stalking. Dinamiche del genere sono fortemente lesive per le donne, che non sempre riescono a trovare la forza di denunciare. Spesso infatti, queste molestie, giustificate troppo spesso come “attenzioni”, fanno sentire la donna vittima, meno libera, persino di fare una semplice passeggiata o di indossare un capo piuttosto che un altro. Spesso arrivano a pensare di essere loro quelle sbagliate, provando un senso di colpa assolutamente non meritato. Il problema invece, risiede in uno stigma culturale duro a morire, posato solidamente sul patriarcato che, ancora oggi tende ad imporsi con la forza. Una forza che però non riesce ad accettare i passi avanti compiuti dalle donne sul campo dei diritti. Il punto è che il fenomeno della violenza sulle donne è strutturale all’interno della società: i numeri allarmanti che ogni anno leggiamo su violenze, molestie e femminicidi, sempre in aumento, appartengono ad un meccanismo cuturale radicato nella nostra società.
La voce dello stato contro la violenza
Su queste vicende purtroppo, lo stato italiano è molto indietro. Al momento non esiste una legge che punisca specificamente chi commette violenze sulla base di una discriminazione di genere. Era stato proposto il DDL Zan ma è stato affossato in fase di discussione. Basti pensare poi, che il reato di stupro, è stato considerato fino al 1996, reato contro la morale e non contro la persona. Esiste una legge sullo stalking, questo si, dal 2009. Per stalking si intendono atti persecutori a danno di una persona; nella quasi totalità dei casi, la vittima è una donna. Tuttavia, nonostante questa legge abbia prodotto i suoi effetti, talvolta le donne vittime di persecuzioni, ma anche abusi e violenze di altro genere, non vengono adeguatamente seguite dalle istituzioni. Spesso, alla base di femmincidi, ci sono violenze perpetuate per anni, e per anni ampiamente denunciate. Tuttavia, più volte, le autorità si sono mosse solo quando era troppo tardi.
Cosa dice la Convenzione di Istanbul
A livello internazionale, per l’eliminazione della violenza contro le donne, esiste la Convenzione di Istanbul. Approvata nel 2011 e ratificata da 47 paesi, la Convenzione è il primo documento giuridicamente vincolante su questo tema. Gli stati firmatari sono tenuti a rispettare determinati parametri in merito al supporto ed alla protezione delle donne vittime di violenza. Sono previsti rifugi, sportelli antiviolenza attivi 24 ore su 24, consulenza psicologica ed assistenza medica. Inoltre, le autorità dei paesi aderenti, sono invitate ad attuare programmi educativi sulla parità di genere, sulla sessualità e sul no alla violenza. Infine la Convenzione si batte anche per la rimozione dei pregiudizi e delle discriminazioni, anche riguardo alle donne lesbiche, bisessuali e transessuali.
Violenza sulle donne: come va nel mondo
Il quadro italiano purtoppo non è l’unico a destare preoccupazioni. Basti pensare che la stessa Convenzione per il contrasto alla violenza sulle donne, è stata firmata ad Istanbul in Turchia, e proprio la Turchia è stata il primo paese ad uscirne. In Turchia la situazione relativa ai rapimenti, agli stupri sistematici e gli omicidi a danno delle donne è una prassi talmente radicata che, le attiviste faticano a registrarle tutte. Nel resto del mondo non va meglio purtroppo. Ogni anno sono 12 milioni le bambine con meno di 18 anni, ad essere date in sposa ad uomini più grandi. Un fenomeno radicato in alcuni paesi come il Bangladesh, il Mozambico o il Sudan, ma anche in Afghanistan, India e Somalia. Come se non bastasse a questi dati si aggiunge anche quello dell‘infibulazione: 130 milioni di donne nel mondo lo hanno subito, e sono 2 milioni ogni anno a subirlo ancora. In ogni paese del mondo, le percentuali relative alle donne che hanno subito violenza non scendono mai al di sotto del 30%; questo rende bene l’idea di quanto, la prevalicazione maschile con la violenza sia radicata.
Il coraggio di chi lotta
Il 25 novembre si celebra proprio per portare in piazza questi dati, per segnalarne la pericolosità e puntare l’indice sull’impronta culturale maschilista che deve essere estirpata. Le panchine e le scarpe rosse sono un ottimo simbolo, un monito per questo grido d’allarme. Un grido che deve accendere l’entusiasmo di chi lotta, anche se il problema è endemico alla società. Per le donne l’impegno a farsi strada nel mondo è sempre doppio rispetto agli uomini, ma questo non fa altro che alimentare impegno, attivismo e speranza. Per la pericolosità del fenomeno però, bisogna pensare alle soluzioni: dal basso le associazioni, i centri antiviolenza e i consulenti psicologi fanno tanto, ma in questa battaglia contro la violenza sulle donne c’è bisogno di un meccanismo ben strutturato che ponga fine ad un atteggiamento perverso che porta le violenze sin dentro casa.