La tremenda sensazione di sentire che la tua casa non è più ospitale come la ricordavi, il pensiero fisso che le tue forze non bastino a farti crescere come volevi, a realizzarti, a costruire. Questo è il dramma di una delle generazioni italiane, rese tra le più fragili degli ultimi anni.
Di Alessandra D’Ambrosio
Una come tanti
Mi presento sono Giovinezza una ragazza di 29 anni e ancora una volta ho scoperto di vivere in un paese, l’Italia, che è un paese per vecchi; e sono ancora qui non perché alla soglia dei 30 anni non sia più giovane ma perché nonostante il mio paese non mi voglia io non ho ancora trovato il coraggio di poterlo lasciare o semplicemente perché non si ha sempre la possibilità di poter iniziare una nuova vita altrove.
I dati che parlano non lasciano speranza
Recentemente il governo italiano ha reso pubblici gli intenti della prossima legge di bilancio 2025 e solo il 5% è stato destinato ai giovani, precisamente 2,035 miliardi di euro su un totale di 39 miliardi, come apprendo leggendo uno dei tanti articoli sull’argomento. Il tono con cui leggo diviene, parola dopo parola, sempre più sarcastico, soprattutto perché rispetto al 2023, i fondi destinati ai giovani, sono aumentati del doppio! Il mio sarcasmo esplode quando mi accorgo che queste informazioni sembrano scritte da chi in realtà non sta dalla parte dei giovani, ma sono state scritte con l’intento di indorare una pillola troppo amara da mandare giù.
Chi siamo?
È bene chiarire inoltre un dettaglio abbastanza importante, per giovani si intende quella categoria di persone che vanno dai 16 ai 35 anni, persone che si stanno immettendo nel mondo del lavoro o che frequentano l’università (finalizzata pur sempre alla ricerca di un impiego), persone che sono alle prese con esperienze quali matrimonio o figli e che cercano di iniziare a costruire la propria vita. Questa categoria di persone a cui non è necessario dedicare più del 5% dei fondi affinché si formino dal punto di vista scolastico e lavorativo, sono quelle stesse persone che andranno a sostituire la generazione lavorativa di oggi, una volta in pensione.
La risposta è scontata
Il nostro Paese si sta auto sabotando? Non credo, semplicemente è più facile investire in attività già economicamente sviluppate, soprattutto perché l’attuale governo di destra preferisce un mondo fatto a misura di imprenditore piuttosto che un mondo in cui potrebbero convivere insieme, in equilibrio, tante categorie lavorative, che non solo dipendono le une dalle altre ma che consoliderebbero il circolo monetario portando ad una crescita esponenziale di tutti i settori. Ma al nostro governo non piacciono le sfide, quelle invece che un lavoratore comune deve affrontare molto spesso durante il suo percorso.
L’evidenza negata
Io parlo a nome di una generazione che si mette in gioco, che cerca in tutti i modi di costruire il proprio futuro senza perdersi d’animo, nonostante l’avanzare mostruoso di una società nichilista e annichilita. Noi siamo anche la generazione del ‘sono pigri’, ‘non trovo nessuno che lavori per me’, ‘ti inquadro come stagista’ e chi ne ha più ne metta. Non abbiamo mai voluto le cose semplici o la strada spianata, vorremmo solo non dover combattere le ingiustizie che ormai, all’alba di questo 2025 risultano anche un po’ datate. Vorremmo che, quando parliamo di equa distribuzione delle ore di lavoro, di un salario minimo, decoroso, che ci permetta di vivere e non di sopravvivere e di poter accantonare anche qualche risorsa per il futuro, non ci venga servita la classica frase, accompagnata da un bel sorriso beffardo, che recita “voi non siete disposti a fare sacrifici” o “il mondo che vorresti non esiste”. Parlo anche a nome di chi, titolare di attività, deve essere sommerso da un quantitativo innaturale di tasse che lo porta inevitabilmente a dover fare a meno dei suoi dipendenti.
C’è sempre un motivo per andare avanti
Quello che non si vede però è che dietro la rivendicazione dei propri diritti c’è Anna che ha un contratto part-time ma di ore ne lavora 8, c’è Giovanni che un contratto neanche ce l’ha ma tutti i giorni va a lavorare, c’è Luisa, Andrea, Tommaso, Sara e altre centinaia di giovani che una volta varcata la soglia dell’università, carichi di energie per affrontare finalmente il tanto temuto mondo del lavoro hanno capito che farsi largo a spintoni non basta.
Non solo la sola a voler fare del lavoro una forma di libertà vera e non sono la sola che combatterà affinché quel mondo che “sta solo nella nostra testa” prenda finalmente forma. Siamo in molti ma abbiamo bisogno anche del sostegno del nostro Paese, di essere accolti di nuovo a casa. Nel frattempo, continueremo a impegnarci come abbiamo sempre fatto.