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Il conflitto israelo-palestinese: una ferita ancora aperta

Domenico Modola di Domenico Modola
27 Dicembre 2022
in Culture resistenti, Impronte solidali
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Il conflitto israelo-palestinese: una ferita ancora aperta

fonte foto: https://www.joimag.it/storia-del-conflitto-israelo-palestinese-un-libro-di-claudio-vercelli/

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Il tortuoso conflitto israelo-palestinese ha generato una profonda frattura in quella che è la costa sud-orientale del Mediterraneo. Nonostante i 74 anni dall’inizio della guerra, lo scontro si è riacceso più volte, destabilizzando l’area mediorientale.

Riceviamo e pubblichiamo: articolo a cura di Melissa Melillo

Le ragioni del conflitto

Storicamente fu la nascita dello Stato d’Israele – 14 maggio 1948 – a decretare l’inizio della prima guerra arabo-israeliana, ma le radici dello scontro risiedono in cause antecedenti. L’esordio del conflitto coincide con l’insediamento degli ebrei nel territorio della Palestina storica, sulla base del tentativo dell’Organizzazione sionista mondiale di trovare una “national home for the jewish people”, in seguito ai pogrom che provocarono l’emigrazione di più di due milioni di ebrei dall’impero russo. In virtù del mandato britannico, il governo inglese scelse di appoggiare il progetto sionista: questo alimentò l’irritazione del popolo palestinese, contrario all’ingresso di nuovi coloni nel suo territorio e pronto ad opporsi. La Gran Bretagna, non essendo in grado di ritrovare una soluzione, ripose la questione nelle mani dell’ONU. L’Organizzazione delle Nazioni Unite deliberò la tanto nota risoluzione 181, che prevedeva la spartizione della Palestina in due Stati: uno arabo e uno ebraico. La divisione non fu equa e generò anche la reazione dei Paesi arabi circostanti.

Le guerre arabo-israeliane

La proclamazione dell’indipendenza dello Stato d’Israele rappresentò un campanello d’allarme per i Paesi della Lega araba: era necessario passare ai fatti, intervenendo militarmente a protezione dei Palestinesi. Dalla prima guerra arabo-israeliana se ne susseguirono altre cinque: la crisi di Suez, la guerra dei Sei giorni, la guerra dello Yom Kippur e la guerra in Libano. Gli scontri furono vinti quasi sempre dall’esercito israeliano, che dimostrò la sua potenza (dovuta all’enorme sostegno statunitense), arrivando a conquistare e occupare gran parte delle zone destinate alla costruzione dello Stato palestinese. Importante è la nascita, durante quegli anni, dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, la quale diventerà l’unico vero rappresentante politico del popolo palestinese e l’unico interlocutore legittimo con cui gli altri attori regionali si confronteranno al tavolo dei negoziati per la pace.

La mancanza di soluzioni

Dopo le tante risoluzioni dell’ONU e gli svariati tentativi di raggiungere un accordo tra le due parti, non fu difficile notare come la possibilità di pervenire ad una vera e propria fine del conflitto fosse tutt’altro che prossima. Si diffuse infatti un sentimento di frustrazione e si registrò un forte declino delle speranze di pace. Il caos derivante dalle proteste dell’“Intifada” palestinese fu regnante nei primi anni 2000 e generò un gran numero di morti a causa della repressione delle rivolte. Solo gli sviluppi successivi portarono ad un tentativo considerevole di ripresa del processo di pace. Nel 2002 nacque il Quartetto per il Medio Oriente, composto da Stati Uniti, Russia, ONU e Unione Europea, che elaborò un nuovo piano, denominato “Road Map for Peace”. Nonostante l’impegno dedicato all’elaborazione di questa soluzione, la stessa non fu mai applicata, poiché divenuta troppo distante dalla difficile realtà del conflitto.

La permanenza delle tensioni

La situazione non fece altro che peggiorare negli anni seguenti, in cui si registrò una profonda spaccatura interna alla politica palestinese. In questo contesto, problematica fu la presenza crescente del movimento islamista Hamas, che non rinunciò mai ad attaccare direttamente Israele, mantenendo sempre vivo il conflitto, il quale esplose nel 2008 con la campagna israeliana del “Piombo fuso”. Le tensioni sono sempre state presenti ma in forma latente, per ritornare alla luce nell’ultimo scontro, verificatosi recentemente, nel maggio del 2021.

Lo scenario attuale

Come la storia ha dimostrato, il conflitto è più complesso di quanto sembri: da un lato lo Stato d’Israele attua una guerra in un territorio che non è di sua appartenenza; dall’altro la Palestina, che non è mai nata come Stato, vede il popolo palestinese lottare contro chi considera come il suo invasore per vedersi riconosciuti i suoi diritti. La soluzione più plausibile per la questione è ancora legata all’opzione “due popoli, due Stati”, ma non è praticabile sul terreno, poiché Israele controlla l’85% del territorio della Palestina. Gli stessi ministri degli Esteri dell’Unione Europea, nella dichiarazione del 10 dicembre 2012, hanno riconosciuto l’impossibilità di costruire uno Stato vivibile per i Palestinesi. La questione, alla fine dei conti, è tutt’altro che sospesa, e la ferita è ancora aperta.

Tags: culture resistentiImpronte socialiimpronte solidalipalestina
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