Mancano pochi giorni ai Mondiali in Qatar. Un torneo reso possibile grazie allo sfruttamento di centinaia di migliaia di operai stranieri, in condizioni disumane e cementificando chilometri di suolo. Tutto questo mentre la FIFA ha finto di non vedere
Tutto pronto a Doha, in Qatar. Il 20 novembre apriranno ufficialmente i battenti i Campionati Mondiali di Calcio 2022, per la prima volta in Qatar. La cerimonia di inaugurazione si preannuncia sontuosa, così come sontuosa è stata la struttura organizzativa e l’impronta mediatica dell’evento. D’altronde si sa, il Qatar è retto dagli sceicchi, i quali da tempo si sono lanciati nell’industria del calcio, ed il fatto che il Qatar sia stato designato come paese ospite è solo la coronazione di questo successo. Nel paese ci saranno centinaia di migliaia di tifosi, ed altrettanti giornalisti da tutto il mondo, per seguire l’evento sportivo dell’anno. Già, peccato però che su questo mondiale, ci siano parecchie ombre. Sfruttamento del lavoro, discriminazioni e consumo di suolo sono tre grosse macchie sulla coscienza degli organizzatori, che prima di inaugurare i Mondiali in Qatar hanno dovuto insabbiare i morti.
Mondiali in Qatar: la designazione
Il Mondiale del 2022, sarà il primo ospitato nel cosiddetto mondo arabo. Una zona dove il calcio è un fenomeno in via di sviluppo, in cui le squadre sono quasi sempre rette da sceicchi facoltosi che acquistano calciatori stranieri in cerca di un gruzzoletto da guadagnare con poca fatica. Il Qatar è stato eletto come paese organizzatore, con la votazione della FIFA del 2010. In quell’occasione, il paese arabo sbaragliò gli Stati Uniti, con 14 voti contro 8. Tuttavia il Qatar avrebbe dovuto adeguarsi a determinati requisiti necessari per ospitare un evento sportivo di tale portata. Ma la FIFA era tranquilla: ci sono gli sceicchi.
I lati oscuri: dietro lo sport
Si dovevano costruire stadi, strade, alberghi e tutte le infrastrutture necessarie. Servivano centinaia di migliaia, forse milioni di lavoratori. E ne arrivarono, dall’ India, dal Bangladesh, dal Nepal. Quasi un milione di operai. Qui iniziano i punti oscuri della narrazione: 12 ore di lavoro a temperature intorno ai 45°, misure di sicurezza inesistenti, contratti fasulli, alloggi in baraccopoli immense sorte alla periferia di Doha e privazione delle libertà. Non si poteva fare nemmeno ritorno a casa: molti operai hanno denunciato il sequestro di passaporti e documenti, onde evitare fughe. E chi si ribellava invece, veniva esposto alla furia violenta dei poliziotti, che dopo arresti sommari in celle sorte per l’occasione, hanno sottoposto questi disperati ad ogni tipo di tortura.
Che fine fanno gli operai
Le organizzazioni umanitarie come Amnesty International, denunciano da anni le condizioni di semi-schiavitù in cui versano gli operai che lavorano ai Mondiali del Qatar. Ne sono morti in migliaia, per la troppa fatica, per la malnutrizione, per le condizioni igienico-sanitarie, per malattie o per incidenti sul lavoro. Inizialmente le autorità qatariote negavano fortemente ogni minimo incidente, poi hanno dovuto ritrattare. Oggi le fonti ufficiali parlano di 6.500 operai deceduti in questi anni di lavori. Un numero enorme, ma secondo alcuni, la cifra reale, potrebbe aggirarsi intorno ai 15.000.
Diritto del lavoro in Qatar: sulla carta e nella realtà
Fino a pochi anni fa, in Qatar i lavoratori stranieri erano molti di meno. Per accedere al paese, bisognava avere la kafeel, una sorta di sponsorizzazione, una raccomandazione, da qualche qatariota che avrebbe fatto da garante per l’ingresso dello straniero. Una misura che sembrerebbe rigida ma non lo è: gli sponsor erano quasi sempre i datori di lavoro che cercavano immigrati da sfruttare. Nel 2017, grazie all’impegno dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, è stata introdotta una riforma del mercato del lavoro allo scopo di mitigare il problema dello sfruttamento. Sulla carta il datore di lavoro non potrebbe più essere autorizzato al sequestro dei documenti del lavoratore. Nella realtà però, i diritti vengono ancora calpestati: stipendi che non arrivano anche per 7 mesi, ritorsioni se si prova a cambiare lavoro ecc. C’è poi da dire che nel Qatar non ci sono sindacati indipendenti e il diritto di sciopero esiste solo su carta.
Gli altri crimini
Probabilmente, passerà del tempo prima che il Qatar, venga formalmente accusato di violazioni dei Diritti Umani e, processato. Nel frattempo non si contano i crimini compiuti anche in altri casi, come la discriminazione aperta e palese contro ogni singolo esponente della comunità LGBTQIA+. La recente dichiarazione del portavoce dei Mondiali in Qatar, è solo la punta dell’iceberg che rivela che in realtà, è stato negato l’accesso a chiunque fosse dichiaratamente omosessuale; che sia un tifoso, un giocatore o un membro degli staff tecnici delle nazionali. L’altro crimine è puramente ambientale: sono stati cementificati ettari ed ettari di aree storicamente desertiche, non adatte ad ospitare un flusso antropico così consistente come quello che si verifica nei campionati di calcio.
L’ “occhio non vede…” della FIFA
Il massacro degli operai, le discriminazioni sessuali, e i crimini ambientali avvengono mentre le alte sfere della FIFA fingono di non vedere e non sapere. Non ci sono state prese di posizione chiare da parte della massima autorità calcistica mondiale, nè tantomeno parole di condanna, contro la condotta degli sceicchi. Si sa che i Mondiali sono un business troppo grande, e per una struttura così fortemente interessata al denaro, come è quella del calcio professionistico, questo è sufficiente. Non conta la pelle di qualche decina di migliaia di operai morti per costruire gli stadi, conta il petrolio degli sceicchi.
Le reazioni
Mentre il mondo sembra attendere impassibile, l’inizio delle partite, c’è chi in qualche modo cerca di reagire a questo controverso Mondiale. Ci sono dei casi di veri e propri boicottaggi, in atto nelle tifoserie di alcune squadre, ma anche da parte di alcune nazionali presenti in Qatar. La nazionale della Danimarca per esempio, ha comunicato la sua forma di protesta: le divise dei calciatori non avranno segni visibili. Nessuno stemma, nessun dettaglio visibile. Sembrerebbe un modo di esserci senza esserci davvero. Inoltre gli atleti hanno comunicato che in Qatar non saranno raggiunti dai parenti, per non incrementare ulteriormente gli affari del Qatar. Poi c’è la reazione di Philipp Lahm, ex calciatore tedesco, che da invitato, ha deciso di non partire con la delegazione tedesca perchè “i diritti umani devono avere maggiore attenzione nell’assegnazione delle manifestazioni”. In Francia invece non saranno predisposti maxi-schermi e adunate di piazza per seguire le partite.
Risarcire i lavoratori e le famiglie?
Proprio così. A maggio 2022 il presidente della FIFA Gianni Infantino, si è visto recapitare una lettera da parte di Amnesty International e Human Rights Watch, in cui si chiedeva alla federazione un risarcimento di 440 milioni di dollari da destinare ai lavoratori e alle famiglie dei morti sul lavoro. Al momento la FIFA non si è ancora espressa a riguardo, e sarà difficile che si esprima ora che tutti i riflettori sono puntati sui campi tirati a lucido del Qatar, ma costruiti con il sangue di migliaia di operai sfruttati e con un costo ambientale inconcepibile. La verità è una sola: i Mondiali in Qatar sono un affare enorme. Il resto, per il mondo sporco del business, non conta. Nemmeno la vita umana.