Il 25 maggio 1922 a Sassari, nasceva Enrico Berlinguer. Negli anni sarebbe poi diventato un grande politico, segretario del PCI, antifascista, democratico e pacifista convinto. Universalmente riconosciuto come uno dei più grandi politici italiani, stimato da compagni e avversari, fu il primo a porre l’attenzione sulla questione morale.
Un ricordo di Enrico Berlinguer, il politico comunista, amato dai comunisti e rispettato persino dagli avversari; nel centenario della sua nascita, avvenuta a Sassari nel 1922, ne ricordiamo l’impronta politica, nonchè la caratura umana e l’onestà che lo ha contraddistinto. Un politico che si è guadagnato la stima, prima con le sue battaglie, poi con un confronto corretto e trasparente, facendo trasparire tutta la sua etica e il suo rigore. Oltre alle caratteristiche personali, è bene ricordare la sua attitudine: la capacità di rompere con l‘Unione Sovietica, di parlare della questione morale e delle logiche di potere che stavano prendendo piede nei partiti e della pace. Oggi ci sarebbe bisogno di una figura come lui. Grande sostenitore del disarmo e della pace, viene ricordato anche da chi, allo stato attuale, sostiene l’invio e la produzione di armi.
La persona Berlinguer
Chi lo ha conosciuto, lo ricorda come un uomo austero, serio e rispettoso nei confronti di tutti, ma anche timido e riservato al di fuori del contesto politico. Persino l’avversario storico, Giulio Andreotti, lo ricordava con ammirazione in un suo libro, descrivendolo come “duro avversario, ma corretto e responsabile”. Sul fatto che Berlinguer fosse un uomo mite fuori dal palco e un appassionato politico sotto i riflettori, non c’è dubbio. Se oggi è uno dei più ricordati è proprio per questo motivo, unitamente al fatto che in lui si ritrova forse, uno degli ultimi politici moralmente ineccepibili. Sono in molti a credere infatti, che con la sua morte, avvenuta a Padova nel 1984, si sia chiusa una pagina di storia politica italiana molto importante; una pagina di incorruttibilità di alcuni politici che, una volta messi da parte, hanno lasciato un vuoto colmato dalla sete di potere e dal disamore per la politica.
L’innovatore
Berlinguer effettuò delle scelte che non furono subito accettate, ma che a conti fatti si dimostrarono innovative, se non pionieristiche. Fu lui ad avere l’intuizione di staccare la spina al rapporto che legava il PCI al PCUS sovietico. La vicinanza ai comunisti sovietici non era ben vista da buona parte dell’elettorato italiano, inoltre i sospetti sulle zone d’ombra del comunismo russo stavano emergendo proprio in quel periodo, a cavallo tra gli anni ’70 e ’80. Come se non bastasse, le pressioni sovietiche, che dettava le linee guida dell’agire dei partiti comunisti nel mondo, era una modalità che poco si adattava alle specificità italiane. Per questo motivo Berlinguer fu dai promotori del cosiddetto “comunismo europeo”: si incontrò con i principali leader dei partiti comunisti europei, per dare una svolta più europeista alla sua leadership. Inizialmente venne contestato per questo, ma i risultati elettorali si videro subito: con Berlinguer il Partito Comunista Italiano raggiunse percentuali di voto tra le più alte di sempre, compreso il 34,5% del 1982.
Il “Compromesso storico”
Tra Democrazia Cristiana e Partito Comunista non è mai scorso buon sangue. Tuttavia, durante il periodo in cui Berlinguer è stato segretario del PCI, la Democrazia Cristiana era retta da un uomo altrettanto stimato: Aldo Moro. I due, seppur rivali, diedero vita ad un dialogo corretto, passato alla storia col nome di “Compromesso Storico”: una collaborazione tra PCI e DC che si impegnavano a governare il paese collaborando. L’avvicinamento tra i due partiti non fu capito dalla dirigenza e dalla base del PCI, ma Berlinguer ci aveva visto lungo. Aveva interpretato bene i cambiamenti della società che stavano avvenendo in Italia e in Europa. La società italiana si presentava più stratificata di prima e la sua idea era quella di allargare la prospettiva del partito, non lasciandola più ad appannaggio dei soli operai e contadini. I rapporti si arenarono più o meno nello stesso periodo in cui Aldo Moro venne rapito dalle Brigate Rosse, anche perché il clima dei cosiddetti “anni di piombo” non aiutava di certo il rapporto tra i due partiti. Ad ogni modo, fu lo stesso Berlinguer ad interrompere ogni trattativa con la DC, nel 1980, dopo il terremoto in Irpinia.
La questione morale
Se c’è una cosa per cui Berlinguer è uno dei più amati da chi ama la politica fatta con onestà e passione, è la questione morale. Così è chiamata una celebre intervista che il segretario comunista rilasciò a Eugenio Scalfari de La Repubblica nel 1981, dove veniva lanciato il grido d’allarme sulla degenerazione dei partiti, alla deriva verso un sistema di potere.
“I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l’iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un “boss” e dei “sotto-boss”.
Berlinguer fu il primo a sottolineare il momento di crisi dei partiti italiani:
“I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai TV, alcuni grandi giornali. Per esempio, oggi c’è il pericolo che il maggior quotidiano italiano, il Corriere della Sera, cada in mano di questo o quel partito o di una sua corrente, ma noi impediremo che un grande organo di stampa come il Corriere faccia una così brutta fine. Insomma, tutto è già lottizzato e spartito o si vorrebbe lottizzare e spartire. E il risultato è drammatico. Tutte le “operazioni” che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono viste prevalentemente in funzione dell’interesse del partito o della corrente o del clan cui si deve la carica. Un credito bancario viene concesso se è utile a questo fine, se procura vantaggi e rapporti di clientela; un’autorizzazione amministrativa viene data, un appalto viene aggiudicato, una cattedra viene assegnata, un’attrezzatura di laboratorio viene finanziata, se i beneficiari fanno atto di fedeltà al partito che procura quei vantaggi, anche quando si tratta soltanto di riconoscimenti dovuti”.
Con anni di anticipo su quello che avrebbero poi svelato le inchieste di “Mani Pulite”, Berlinguer aveva già intuito le dinamiche losche e gli intrecci tra politica, economia e sistemi di potere più o meno leciti.
L’insegnamento
Berlinguer morì l’11 giugno 1984 a Padova. Si era sentito male 4 giorni prima, durante un grande comizio tenuto proprio in quella città. L’ictus lo colpì proprio mentre teneva un discorso che poi, sarebbe stato l’ultimo. I funerali a Roma furono seguiti da decine di migliaia di persone con bandiere rosse e pugno alzato: Berlinguer aveva lasciato un vuoto incolmabile e un grosso insegnamento da raccogliere. Purtroppo potremmo constatare con facilità che tale insegnamento non è stato recepito da gran parte della classe politica attuale, nemmeno dalla gran parte di quelli che militarono nel PCI. Oggi ci sarebbe bisogno del pragmatismo di Berlinguer, pacifista convinto e promotore del disarmo militare. Oggi che la classe politica italiana si batte invece per aumentare le spese militari.