È successo ancora una volta: colpi di fucile contro i braccianti stranieri che tornavano a casa da lavoro. Alcune ore fa, a Foggia, precisamente nella località Borgo La Rocca, tre braccianti sono stati raggiunti da una raffica di proiettili esplosi da un SUV in corsa che avrebbe affiancato l’auto su cui viaggiano i tre braccianti. Secondo le prime ricostruzioni, l’obiettivo del commando era un trentenne del Mali, rimasto gravemente ferito, ma fortunatamente non rischia la vita. L’episodio è solo l’ennesimo caso di violenza nei confronti dei braccianti stranieri. Gli obiettivi non sono scelti a caso: sono i migranti attivisti ed impegnati in attività sindacali. Praticamente c’è qualcuno che vuole impedire a migranti sfruttati di alzare la testa e ribellarsi alle condizioni lavorative prossime allo schiavismo.
Braccianti stranieri aggrediti: non è la prima volta
Il caso di questa aggressione è stato diffuso dalla Lega Braccianti di Aboubakar Soumahoro, assieme alla foto del maliano ferito. Secondo questa formazione sindacale che sposa la causa dei braccianti stranieri, quanto appena avvenuto è il secondo raid nel giro di due giorni. Vittime designate sono i migranti che lavorano le terre del foggiano, che nell’ultimo periodo si stanno organizzando per darsi un’identità e rivendicare diritti negati da una filiera produttiva, gestita in maniera illegale, con il tacito assenso di produttori e autorità. Dopo il raid, la Lega Braccianti ha indetto un’assemblea straordinaria per riorganizzare la lotta e tenere alta la guardia. Le attività sindacali stanno cominciando a sortire gli effetti. Ma ancora non basta.
Le condizioni dei braccianti: ghetti e schiavitù
Se noi consumatori, troviamo nel banco frutta e verdura, prodotti sempre freschi e ad un prezzo accessibile, lo dobbiamo a questi braccianti stranieri. Africani perlopiù, ma anche asiatici, rumeni, albanesi, i quali lavorano nelle campagne, piegati in due a raccogliere i frutti della terra, spesso sotto al sole cocente dell’estate. Per questi lavori vivono in abitazioni di fortuna, i cosiddetti ghetti: baraccopoli sprovviste di tutti i servizi fondamentali. In quelle baraccopoli hanno trovato la morte alcuni migranti negli anni scorsi, uccisi dalle esalazioni di monossido di carbonio di una stufa malandata, uccisi dal freddo o dal caldo. Una lotta continua quella dei braccianti, tra sfide per la sopravvivenza, razzismo ed indifferenza delle istituzioni.
Il fenomeno del caporalato
Le campagne in cui i migranti lavorano, sono quasi sempre interessate dal fenomeno del caporalato: una pratica illegale che consiste nel reclutamento coatto di migranti per il lavoro, senza alcuna tutela sindacale o diritto minimo riconosciuto. I caporali si servono di violenza, minacce ed armi per tenere sotto scacco i lavoratori. È chiaro che, nella maggior parte dei casi, dove c’è caporalato ci sono organizzazioni malavitose e mafiose che gestiscono le attività agricole, spesso per rivendere il raccolto a grandi produttori, più o meno ignari dei meccanismi di raccolta. Un fenomeno giunto alle cronache solo in tempi recentissimi, ma ormai, ampiamente radicato nelle campagne del Meridione italiano, ma presente anche altrove. La condizione di precarietà e clandestinità in cui purtroppo sono costretti a vivere migliaia di migranti, costituiscono la linfa vitale da cui attingono i caporali. Negli ultimi tempi però, i migranti stanno cominciando a dire basta.