Come la letteratura ci apre gli occhi sulla vita e sul mondo in cui viviamo
Articolo a cura di Alessandra D’Ambrosio
Se non vi è mai capitato fra le mani il romanzo “Città di Dio” vi consiglio di leggerlo, appena lo farete verrete catturati da un vortice che turbina a ritmo di Samba ed entrerete in una delle realtà più controverse degli ultimi 60 anni.
“Città di Dio” è un romanzo scritto da Paulo Lins nel 1997 e pubblicato nel 1999, è ambientato nella città di Rio de Janeiro in Brasile, precisamente nella zona ovest dove sorge la favela Città di Dio che dà proprio nome al romanzo. Il termine ‘favela’, originario della lingua portoghese, significa baraccopoli e sta ad indicare tutti quei luoghi poveri, sorti nelle periferie delle città più grandi del Brasile come Rio de Janeiro, São Paulo, Recife ecc. Nelle favelas vige uno dei meccanismi più antichi del mondo ossia la legge del più forte che è mosso dal sentimento della violenza e questo è l’unico modo per sopravvivere.
Conoscere la violenza
Se non conoscete questo tipo di violenza, da cui non si può scappare, allora dovete leggere questo romanzo. Il fatto curioso però è che mai ci si possa aspettare che la violenza si trovi anche nella nostra società occidentale, ma se spingiamo lo sguardo un po’ più in fondo, ci accorgeremo che essa è ancora alla base delle leggi che ci governano. Una violenza sotterranea, mascherata che agisce attraverso la paura per ottenere una forma di controllo.
La trama: nelle viscere delle favelas
L’autore è un sociologo che scrive questo romanzo in un tempo in cui questa favela è considerata una della più pericolose di Rio e lo fa immergendocisi completamente; Lins ne trae uno spettacolare e lucido racconto di quelle che sono le vite di uomini, donne e soprattutto bambini che sopravvivono ogni giorno in questo labirinto di cemento, dove le speranze che nascono sono flebili e soffocate dagli spari che continuamente mietono vittime, lasciando che il loro sangue bagni le strade di terra battuta. I clan, formati soprattutto da ragazzini, si scontrano con ferocia per prevaricare sull’altro, come Ze Pequeno, uno dei protagonisti che sin da piccolo impara, come gli altri, a farsi strada nell’ambiente dello spaccio e delle rapine poiché questa è l’unica strada da percorrere per arrivare in alto, la ricetta della felicità è avere il potere e l’essere temuto.
Lo spiraglio
Diverso è Busca Pe, un altro dei protagonisti del romanzo, l’amico di Ze che sogna di diventare un fotografo. Questo personaggio va in contrasto con tutti gli altri, sembra che Busca Pe non si faccia toccare dalla violenza in cui è immersa la favela dove vive. Il suo sogno non è una prevaricazione dell’altro per ottenere la felicità ma è un sogno che libera.
Nonostante in questo luogo dimenticato in cui la violenza è il sentimento che tutto prevarica, riusciamo a percepire l’emergere del bene proprio attraverso il personaggio di Busca Pe e al suo modo di considerarlo come un amuleto da custodire.
La riflessione
C’è da chiedersi allora perché sembra che nel nostro piccolo, nella nostra società o nella nostra vita sentiamo l’esigenza di combattere l’altro? Eppure, molti di noi non vivono in una favela, con la pistola alla cintola per potersi difendere. Quindi sta a noi scegliere quale personaggio voler interpretare nella vita reale se Ze Pequeno o Busca Pe. Avremmo dovuto costruire una società che ci permette di posare l’ascia di guerra di fronte all’altro e invece sembra che ci siano ancora più motivi oggi per dover prevaricare, usando un atteggiamento violento. Quindi dovremmo chiederci dove stiamo andando e dove vogliamo arrivare, senza accorgerci di star già decadendo lentamente su noi stessi fino a scomparire e rimanere solo carne e odio.