Ogni giorno nel mondo milioni di migranti rischiano la vita nel disperato tentativo di raggiungere la salvezza o condizioni di vita migliori, affrontando tutte le insidie che si presentano nel viaggio via mare sui barconi. A livello internazionale, le azioni di solidarietà delle Organizzazioni non governative si scontrano notevolmente con gli interessi nazionali perseguiti dai governi di Paesi che rappresentano il possibile punto di approdo.
Riceviamo e pubblichiamo, articolo a cura di Melissa Melillo
La tutela dei migranti secondo il diritto internazionale
Molti sono i casi di salvataggi in mare aperto di coloro che scappano da situazioni insostenibili nella speranza di trovare una via d’uscita. Al momento del soccorso in mare di persone in difficoltà la loro qualifica di “migranti” passa necessariamente in secondo piano, così come sostiene formalmente il diritto internazionale. In particolare, una serie di disposizioni contenute nella Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto nel mare codifica norme fondamentali che necessitano di essere applicate nella gestione del fenomeno. Considerando l’effettività delle stesse è indubbio che, nel momento in cui si ritrovano persone in condizioni di pericolo in acque internazionali, sia doveroso prestare soccorso il più velocemente possibile, e fare scalo nel porto più vicino.
Il ruolo delle ONG
Un contributo di rilevanza fondamentale per quanto riguarda le operazioni di salvataggio proviene dalle note ONG, organizzazioni private, indipendenti dagli Stati e dai governi, che perseguono diversi obiettivi, tra i quali quelli di utilità sociale, cause politiche o di cooperazione allo sviluppo. Nei loro ambiti di intervento rientra anche la tutela delle persone migranti ed il soccorso in mare, in quanto funzionale alla protezione dei diritti umani e del diritto alla vita. Queste associazioni, che agiscono senza scopi di lucro, hanno mostrato in tutti i casi verificatisi la loro solidarietà verso le persone che viaggiano in mare, affrontando condizioni estreme. Nel momento in cui agiscono garantendo un salvataggio, le stesse hanno il compito di approdare al cosiddetto “safety place”, il porto sicuro più vicino al luogo del soccorso. Questo dovere legale spesso si scontra con gli interessi nazionali dei Paesi europei coinvolti, dando origine a numerose divergenze, soprattutto in ambito comunitario, riguardo alle decisioni e ai comportamenti da attuare.
La necessità di collaborare
Chi paga per le incertezze dei Governi riguardo alle procedure da adottare sono i migranti: il loro destino dipende dall’esistenza, di volta in volta, di uno Stato disponibile allo sbarco e a porre in essere interventi umanitari. Il Paese maggiormente coinvolto in queste operazioni è sempre stato l’Italia, ma la gestione della situazione deve necessariamente essere condivisa almeno in ambito europeo, tramite una maggiore collaborazione tra i membri dell’organizzazione. L’obbligo di soccorso nelle acque marittime prevede che si aiutino persone in difficoltà, seguendo un senso di solidarietà e di umanità, senza discriminazioni contro chi ha intrapreso il viaggio e senza considerare le ragioni dello stesso. La distinzione che si tenta di instaurare tra migranti ed altre persone in pericolo costituisce un grave freno alla salvaguardia della vita umana in mare.
Le nuove disposizioni in Italia
Recentemente il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto-legge che introduce regole più stringenti per il soccorso in mare da parte delle ONG. Il decreto-legge non impedisce lo sbarco dei migranti soccorsi, ma lo rende più complicato. Definisce un codice di condotta che le ONG dovranno seguire nelle operazioni di salvataggio: una volta soccorsi i migranti, dovranno avvisare le autorità italiane, e una volta assegnato un porto di sbarco individuato dalle autorità italiane, andrà «raggiunto senza ritardo per il completamento dell’intervento di soccorso».
Le navi dovranno raggiungere istantaneamente il porto assegnato dall’Italia, qualunque sia, anche se lontano dalla zona in cui è stato eseguito il soccorso. Il decreto sottolinea inoltre come le navi delle ONG non potranno effettuare “soccorsi plurimi” a meno che questi non vengano autorizzati dal Paese. Se si violano queste norme, sarà negato l’ingresso delle navi nei porti italiani.
Questa misura rappresenta la conferma del fatto che la politica governativa italiana si è posta in maniera da ostacolare il lavoro delle Organizzazioni non governative, in un contesto nel quale andrebbero unite le forze per proteggere tutti quegli esseri umani che si ritrovano senza speranza e in pericolo di vita e per tutelare i loro diritti inalienabili.