Giorno della Memoria, affinché gli orrori della guerra non abbiano più a ripetersi. Il 27 gennaio 1945 le truppe sovietiche entrarono ad Auschwitz e scoprirono lo scempio messo in piedi dalla fredda lucidità dei nazisti tedeschi. Ai loro occhi si presentò lo scenario raccapricciante di una montagna di cadaveri scheletrici e di altrettanti esseri umani, scheletrici anch’essi, privati di anima e dignità. Quegli scheletri erano ebrei, ma non solo: omosessuali, oppositori politici, Rom ecc. Alla fine la storia ci consegnò l’incredibile dato: oltre 6 milioni di vittime. La Shoah, così venne definita dagli ebrei, fu una delle pagine più brutte della storia. Ciò che rende ancor più agghiacciante la vicenda dei campi di concentramento è la lucida follia messa in atto dai nazisti, una meccanicità ed una precisone ferrea, in una procedura che mirava alla sistematica e totale eliminazione degli ebrei.
Col passare del tempo vennero fuori altri elementi inquietanti: esperimenti mortali sui bambini gemelli, al fine di cercare il gene che permette i parti gemellari, esecuzioni sommarie, camere a gas, forni crematori. Come se non bastasse poi, le condizioni in cui versavano i prigionieri dei lager: sporchi, denutriti, vestiti con abiti logori, spesso scalzi nella neve polacca e tedesca. Una condizione in cui erano annullati tutti i diritti umani, all’epoca non ancora iscritti in un documento universalmente riconosciuti. Corpi svuotati di ogni ragione di vita e di ogni dignità, che spesso si abbandonavano ad triste decadimento, verso quello che sembrava un destino inevitabile. A descrivere la condizione degli internati e l’aspetto psicologico, fu Viktor Frankl, illustre psicologo che finì anch’egli nei lager, di cui descrive le condizioni nel suo libro “uno psicologo nei Lager”. Nel libro, edito nel 1946, Frankl descrisse come il prigioniero comincia ad intendere la fine come scopo. Nell’incertezza sulla veridicità o meno di un rilascio, i prigionieri si rassegnavano all’idea di non sopravvivere fino all’attesa della liberazione.
Poi la guerra finì. Gli stati si riunirono con l’intenzione di porre le basi ad un nuovo modo di intendere il diritto internazionale, per risolvere le controversie in maniera diplomatica e non più con i conflitti. C’era la necessità che gli orrori della dittatura nazista non venissero mai più replicati. Nel 1945 nacque l’ONU, poi fu la volta della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo nel 1948 e della Convenzione Europea dei Diritti Umani. Venne proclamato il 27 gennaio Giorno della Memoria; venne stabilito in termini di legislazione internazionale che la dignità, la salute, la libertà dell’uomo sarebbero stati diritti inviolabili, da nessuno intaccabili.
Cosa è successo da allora? qualcosa sappiamo. Sappiamo che la Shoah che ha visto vittime gli ebrei non è stata la prima, nè l’ultima vicenda di segregazione e privazione della libertà. Prima ci furono gli armeni, segregati dai turchi; poi, negli anni ’60, con tanto di convenzioni dei diritti umani attive e funzionanti, i lager in Algeria ed Indocina predisposti dai francesi, i gulag in Unione Sovietica. Come se nulla fosse successo. Gli stati hanno imparato a fare il doppio gioco: da un lato stringono mani e ratificano accordi, ma dall’altro hanno capito che la segregazione è un mezzo coercitivo notevole per imporre il proprio volere. Il fenomeno dei lager non è storia vecchia dunque: lo hanno applicato anche gli americani ad Abu Ghraib nei primi anni 2000 e, qualcosa di simile è presente nella regione cinese dello Xinjiang, dove la minoranza turcofona degli uiguri subisce da anni continue privazioni dei principali diritti fondamentali. Senza contare poi di ciò che porta avanti Israele, formato dai discendenti dei sopravvissuti all’Olocausto, ai danni dei palestinesi.
Non abbiamo imparato nulla sul fronte del rispetto per il prossimo e sulla tutela dei diritti di ognuno. Quale dovrebbe essere quindi, il vero significato del Giorno della Memoria? Se ancora oggi, milioni di persone si trovano in condizioni di assenza di diritto, vagando nell’indifferenza degli stati e delle organizzazioni Internazionali, il problema c’è. Se ancora oggi, per i migranti, che sono le vittime di quest’epoca, c’è ancora il bisogno di interrogarsi sulla necessità di interventi congiunti; se in Palestina vi è un popolo intero in cerca di diritti, osteggiati e negati da tutto l’occidente; se ancora oggi migliaia di migranti vagano scalzi nella neve in Bosnia, vuol dire che abbiamo ancora tanto da imparare. Vuol dire che la memoria si deve esplicare in un meccanismo più profondo per riconoscere le radici del male, e non limitarsi alle pure formalità di celebrazione di questa giornata.