di Vincenza Maione
Come tutti ormai sappiamo, la recente pandemia di Covid-19 ha sconvolto la maggior parte degli ordini prestabiliti in molti ambiti, compreso quello dell’istruzione. Quasi prima di tutti, gli italiani si sono ritrovati a fare i conti con una realtà fatta di comunicazione a distanza, di distanziamento sociale e di chiusura forzata tra le mura domestiche, a cui non si era abituati.
In particolare, si è a lungo discusso dell’effetto che questa transizione forzata e repentina dalla classica lezione frontale a quella telematica possa avere su una generazione di bambini ed adolescenti – nel breve e nel lungo termine. Migliaia di studenti italiani hanno terminato l’anno scolastico nelle proprie case seguendo lezioni online, con un docente che si vive attraverso Skype, Teams o altre piattaforme simili. Molti sono stati costretti a seguire videolezioni e a consegnare compiti su compiti assegnati, spesso tramite i genitori che hanno svolto un insostituibile ruolo di controllo (non senza effetti collaterali).
Finora si è parlato a lungo degli studenti classici delle scuole dell’obbligo e degli atenei. Esiste, tuttavia, una categoria di studenti che non sono italiani nè frequentano istituti scolastici ordinari.
M. è del Bangladesh, ha un permesso di soggiorno da rinnovare, per il quale il superamento di un esame di lingua italiana costituisce una condizione indispensabile; ma soprattutto, desidera imparare l’italiano, non solo per sè, ma anche per aiutare i suoi connazionali in difficoltà anche a causa della barriera linguistica.
M. è quello che si direbbe uno studente modello, nonostante le sue evidenti difficoltà rispetto alla maggior parte degli altri compagni di corso – ispanici, per i quali la vita solo apparentemente è più facile, e arabofoni, presenti sul territorio da moltissimi anni. Nelle lezioni frontali mostrava evidenti difficoltà di comunicazione ed interazione, ma era estremamente puntiglioso sulle spiegazioni grammaticali e desideroso di capire bene quanto gli era insegnato. Soprattutto, la lezione domenicale dell’associazione Yabasta! di Scisciano rappresentava un prezioso momento di ricreazione a cui non voleva rinunciare.
Partiamo, però, con ordine: per cominciare, che cosa è una L2 e perché è importante?
Si intende per “lingua seconda” (L2), la lingua che il soggetto si trova ad apprendere nel territorio in cui si trova, diversa dalla sua lingua madre. Si distingue, in particolare, dalla “lingua straniera” (LS), che è la lingua che lo studente apprende nel proprio Paese di provenienza. Per fare un esempio, Mattia della scuola media studia inglese, la sua lingua straniera, perché comunque si trova in Italia. l’ambiente di apprendimento è artificiale, svolge i compiti e parla inglese solo in classe, ma una volta uscito dalle mura scolastiche ha ben poca necessità di usare la lingua: non avrà difficoltà a comprare un pacchetto di mentine al negozio, perché non gli verrà mai chiesto di parlare in inglese.
A differenza di Mattia, il nostro M. ha davvero bisogno di apprendere l’italiano: meno italiano saprà comprendere e parlare, meno sarà in grado di sopravvivere senza il supporto costante di un interprete. Perfino un’azione banale come comprare un pezzo di pane può diventare un’impresa. Per non parlare degli altissimi muri culturali che saranno sempre più ripidi da scalare: a lui sarà impossibile spiegare agli altri la sua cultura, e non capirà a sua volta mai davvero la nostra. Come risultato, i locali saranno sempre più diffidenti verso quelle persone venute da fuori, e anche M. e i suoi amici (soprav)vivranno in italia continuando a pensare che noi siamo, dopotutto, gente dalle usanze bizzarre. Man mano che M. apprende l’italiano stando in Italia, sarà costretto ad usarlo in ogni situazione; con un po’ di fortuna, dopo del tempo, sarà in grado di destreggiarsi tra il suo mondo e il nostro come se entrambi gli appartenessero. Questo è il senso della “lingua seconda”: una lingua viva e vissuta, che ci forgia da dentro e ci definisce come individui – nel bene e nel male.
Chiarito questo concetto (ed appurato che, per quanto ci dispiaccia, per molti di noi italiani dire quattro parole di inglese non equivale a farne la nostra L2), chiediamoci gli obiettivi delle lezioni di italiano. A che cosa servono, in special modo a coloro che si trovano sul nostro territorio?
L’apprendimento delle lingue è stato strutturato, in ambito europeo, in livelli di competenza ben definiti. Ne avremo probabilmente sentito parlare per i nostri esami di lingua a scuola. Per semplificare le cose, diciamo che i livelli A1-A2 sono da principiante, e C1-C2 da parlante avanzato. Per molti lavoratori immigrati, ottenere una certificazione A2 è un obbiettivo prezioso, poiché non solo li rende capaci di comprendere l’italiano a sufficienza di modo da interagire nella vita quotidiana, ma anche perché permette loro di regolarizzare il proprio status giuridico.
Le classi alla sede di Scisciano sono state strutturate a seconda del livello: gli studenti sono divisi a seconda che si tratti di principianti assoluti, a metà tra A1 e A2, o studenti con le competenze e la necessità di conseguire l’esame A2. Ed è proprio in quest’ultimo gruppo che si trovano M. e i suoi colleghi. Una classe variegata, composta anche da persone provenienti da Ucraina e Albania, ognuno con particolarità culturali e difficoltà linguistiche diverse.
Con la chiusura delle scuole e il divieto di assembramento, anche le attività di insegnamento di italiano L2 si sono quindi spostate sulla piattaforma virtuale. Non potendo essere certi delle possibilità economiche e di tempo di tutti gli studenti, la stragrande maggioranza dei quali sono lavoratori adulti e madri/padri di famiglia, abbiamo scartato la tipologia di insegnamento in tempo reale (su Skype) in favore dell’ideazione di videomateriali didattici caricati ogni settimana su Youtube perché ognuno ne usufruisse liberamente. Whatsapp sono, inoltre, serviti come mezzo di connessione con gli studenti e per informarli delle novità della scuola e delle lezioni in arrivo. Quest’anno, l’esame A2 sarebbe dovuto svolgersi in marzo, per poi essere stato prima posticipato in data da definirsi, e infine sostituito da una produzione scritta alla fine di maggio.
Cosa è cambiato tra la lezione frontale e quella a distanza?
I due tipi di insegnamento sono ultimamente assai discussi, e ciascuno ha lati positivi e negativi. Durante una lezione frontale, si ha il contatto diretto con gli studenti, e il docente può ricevere feedback immediati sull’andamento della stessa: l’insegnante si può ripetere più volte, stancarsi, visionare le produzioni in corso d’opera, e a volte ha necessità di avvalersi di un altro docente di supporto per la verifica e gli esercizi di interazione. Tutti, inoltre, devono prendere il tempo necessario per recarsi in sede – ognuno con i mezzi che ha a disposizione, che non sempre sono comodi: basti pensare ad uno studente costretto a spostarsi da Napoli. Gli studenti più timidi possono avere difficoltà nell’interazione, e magari soccombere ad altri più capaci che in classe sono molto reattivi.
D’altra parte, le videolezioni costituiscono una strumentazione comoda per lo studente, che può visionarle nel momento più comodo; non vi è bisogno di spostamenti, nè di sforzi fisici o di ingerenze da parte del docente, e naturalmente chiunque può sentirsi a proprio agio senza dover affrontare una reale comunicazione. In un certo senso, l’insegnamento delle lingue online offre una sorta di cuscinetto di protezione, apprendendo la lingua in una situazione di comfort dove l’esposizione in prima persona non è necessaria. Inoltre, e questo è il concetto più importante, è economicamente più vantaggioso seguire una videolezione piuttosto che una lezione live in remoto: bastano pochi dati sul telefono perché chiunque possa visionare il video, senza dover preoccuparsi della qualità della connessione di rete o se si possiede un computer adeguato (o se si possiede affatto un computer). L’aspetto economico per molti dei nostri studenti non è affatto da sottovalutare. Tuttavia, la creazione dei video può sembrare semplice a prima vista, ma non è stata una passeggiata. Il docente deve visionare il materiale a disposizione per la lezione affidata, stabilire una scaletta, recuperare o ideare materiali extra e solo a questo punto registrare; neanche la registrazione e l’editing sono semplici: in classe, il docente può ripetere un concetto, balbettare, autocorreggersi, saltare dei passi già chiari. Con la videolezione è necessario essere quanto più concisi, diretti e puliti nell’esposizione, e un prodotto di qualità accettabile richiede del tempo. Inoltre, per evitare che lo studente abbandoni la visione a metà, occorre stare attenti a non dilungarsi con i video. Infine, nelle videolezioni manca una reale interazione. Se è vero che gli studenti la possono vivere con meno ansia, è altrettanto vero che la lezione diventa passiva, nonostante il tentativo di inserire esercizi da svolgere da soli e la richiesta di inviare i risultati direttamente agli insegnanti.
Una differenza importante con l’insegnamento nelle scuole dell’obbligo è che gli studenti decidono di seguire le lezioni di propria volontà: non sono costretti, nè li si può costringere a svolgere i compiti. Già durante le lezioni ordinarie la maggior parte non era in condizione di consegnare gli esercizi svolti con continuità, soprattutto per mancanza di tempo; ne consegue che le videolezioni sono state seguite con passione da alcuni studenti, e invece in altri con meno entusiasmo. Questa strategia è stata comunque d’aiuto per far sì che gli studenti non perdessero totalmente il contatto con la classe e le sue attività. Tuttavia, c’è qualcosa che, soprattutto in un’aula “solidale”, difficilmente può essere trasportata su una piattaforma. Quel qualcosa si legge nei messaggi che invia M. ogni settimana, chiedendo quando riprenderanno le lezioni in classe. Lui, come altri studenti, sembrano impazienti di ritornare, a prescindere dalla propria voglia individuale di migliorare in lingua.
Ed è qui che desidero porre l’ultima domanda di questo articolo: che cos’è l’insegnamento solidale? Perché insegnare l’italiano L2 gratuitamente, e perché qualcuno dovrebbe continuare a lezioni orientate ad una utenza mista, anche dopo che si ha raggiunto l’obbiettivo di passare l’esame?
La mia risposta risiede proprio nella voglia degli studenti di ritornare alla sede. O per dare un’immagine più precisa, risiede nei fondi di tè e di caffè preparati cinque minuti prima della fine delle lezioni, e distribuiti a tutti. C’è chi è timido, e dopo un po’ se ne va da solo o in piccoli gruppi; ma c’è chi decide di restare fino a tardi, quando la sede chiude ufficialmente. Si ride e si scherza, e si cerca anche un modo per passare il tempo, per stabilire legami.
E ai miei occhi, che fino a poco fa l’insegnamento l’ho vissuto solo in maniera formale, ragazzi di tutte le età ed estrazioni che imparano direttamente sul campo ad insegnare e allo stesso tempo si fanno degli amici con i loro stessi alunni diventano un valore aggiunto insostituibile. Dopo le lezioni, l’entrata si trasforma in una piazzetta, e la gente parla, scherza o prende il caffè in disparte, fino a quando qualcuno non ti chiede come va. Una piazzetta dal sapore di intimità. E forse, nella nostra società, al di là dell’attuale bisogno di distanziamento sociale, è proprio di queste piazze che abbiamo più bisogno.
Alcuni mesi fa, M. postò sulla sua bacheca con orgoglio di stare frequentando una scuola di italiano gratuita. Ed adesso desidera non solo studiare, ma collaborare con le attività dell’associazione: per migliorare il suo italiano, per aiutare i suoi connazionali, e, molto probabilmente, per restare in compagnia.
Bello scritto. Una esperienza raccontata senza fronzoli. Utile anche contro il razzismo latente dei nostri tempi.
Grazie