Tanti anni fa, quando io arrivai nella Selva Lacandona – 22 anni fa – conobbi un uomo, un saggio, che chiamavamo “Il Vecchio Antonio”. Una volta, chiacchierando con lui, gli chiesi – perché non capivo molte cose, venendo dalla città – come fosse possibile che dopo tanti anni di guerre, affanni, conquiste e distruzioni, gli indigeni maya – perché noi siamo indigeni maya – continuavano a resistere. Egli mi disse che il segreto stava nella terra; che potevano distruggerci a uno a uno, però finché ci fossero stati la terra o la natura, tutto questo avrebbe potuto ricominciare ad alimentare e far crescere e a generare, una e più volte gli uomini e le donne di mais…
…. E vi voglio raccontare un’altra cosa. E’ un omaggio alla compagna Comandanta Ramona. Successe tempo fa. Circa 15 o 16 anni fa accadde che io la conobbi. A lei toccava il compito di condurci presso uno dei villaggi in cui si stava spiegando al popolo a che punto era la situazione della nostra lotta. Noi di tanto in tanto esponiamo alla nostra gente il modo in cui siamo nati, la situazione del Paese e le ragioni della nostra lotta. A lei quella volta toccò dirigere la nostra marcia. Era molto allegra e burlona. Scherzando diceva, quando doveva guidarci – perché lei era l’unica che conosceva il cammino – che la nostra lotta era buona, perché per la prima volta era la donna ad andare avanti. Scherzando con me, diceva :”Quando vinceremo, forse, sarete voi uomini a doverci raggiungere; voi che comunque state dietro di noi. Nel nuovo mondo che vogliamo costruire cammineremo uno al fianco dell’altro”. E lo diceva con aria di burla perché fino ad allora nelle comunità era consuetudine che l’uomo andasse avanti e la donna dietro, seguendolo.
La mia scarsa abilità nel camminare è leggendaria nella Selva Lacandona e presto lo sarà nel resto del Paese. Io camminavo inciampando in ogni istante e lei mi lasciò indietro. Nonostante fosse molto chaparrita[1] e piccolina, camminava come una pirinola, cioè come se l’avessero caricata a molla, infatti non la raggiungevo. E’ chiaro che a un certo punto mi persi. Per questo motivo io proseguivo guardando in basso e imparai a seguire le sue orme. Camminava lasciando le impronte – lei camminava scalza e io con gli anfibi – e mi precedeva seminando le sue orme… Bene, se lei avanzava troppo, io potevo procedere solo seguendo la sua impronta… Arrivò però un momento in cui il terreno era duro, come qui. Io non me ne ero reso conto e continuavo a vedere le sue impronte. Allora, mi fermai a riposare, perché tra i polmoni e la pipa, beh, non ce la facevo mica tanto. Allora mi chiesi come mai stesse lasciando un’impronta il piede di Ramona nonostante il suolo fosse duro. Non so se il fenomeno avesse una causa geologica, o qualcosa di simile, però mi girai a guardare indietro e non c’erano mie impronte, nonostante io usassi scarponi anfibi e la mia statura fosse il doppio di quella di Ramona.
Non capivo perché il suo passo lasciasse impronte e il mio no.
Più avanti, finalmente la raggiunsi e le domandai: Hai notato che il tuo passo lascia impronte e il mio no? “E’ così e basta”, rispose, e proseguì.
Allora non capii. Tempo dopo, un’altra volta – credo che questo avvenne nella regione dei Los Altos in Chiapas, dove c’è un altro clima, c’è molta nebbia – notai che a Ramona piaceva giovare a camminare sulle nuvole, come lei diceva, perché arrivava un momento in cui la nebbia si coricava completamente sopra le montagne e sembrava che stessimo camminando realmente sulle nubi.
Tornai un’altra volta nella Selva e incontrai il Vecchio Antonio e gli raccontati l’aneddoto di Ramona – lor si erano conosciuti in occasione delle nostre riunioni – e egli sorrise e mi disse:
“Voglio raccontarti una storia che narravano i nostri antenati”. I grandi saggi dei nostri popoli indigeni narrano che nei primi giorni della creazione del mondo avevano scelto uomini e donne grandi, e li fecero grandi perché grande era il loro compito. Giganti, come li chiameresti tu, che usavano parole grandi. E a questi uomini e donne toccava, per la loro statura, procedere marcando il cammino affinché quando fossero stati molto lontani, la gente che camminava dietro li avrebbe potuti vedere, essendo loro molto più in alto della cima degli alberi. In principio fu così, però arrivò un momento in cui questo fatto risvegliò l’invidia e il coraggio degli altri, dei più bassi e dei più piccolini, e ne nacque un gran problema.
Si riunirono allora i primi Dei, quelli che partorirono il mondo, e dissero: “Bene, qui abbiamo combinato un guaio – loro sì che riconoscevano quando facevano male le cose, non come i governanti di oggi – e allora, adesso, come li trasformiamo?”. Dissero: “In qualche modo potremmo nascondere la grandezza di questi uomini e donne” e decisero di farli diventare piccoli, però di fatto rimasero giganti. Di piccolo avevano soltanto la loro statura. Ma proprio mentre stavano discutendo si misero a ballare la marimba – perché erano divinità molto allegre, molto ballerine – e così dimenticarono un dettaglio. E cioè che avevano modificato la statura, ma non il peso. Avvenne quindi che questi uomini e donne che erano stati giganti, divennero piccoli, però continuavano a pesare come giganti e quindi camminavano lasciando impronte.
Il vecchio Antonio diceva che, per apprendere il punto di vista degli indigeni maya, bisognava imparare a guardare verso il basso.
Diceva che i caxlanes, gli tzules, i conquistadores, che avevano colori differenti, nomi differenti e nazionalità differenti, inclusi messicani, che ci hanno oppresso per tutti questi anni, pensavano che noi indigeni abbassassimo la testa come segno di umiliazione e obbedienza.
Dice il Vecchio Antonio: “No, ciò che noi facciamo da sempre è cercare l’impronta che è profonda. Impara a guardare in basso. E camminando dietro a qualcuno, se lascia orme, seguilo, non perderlo, perché in alto non lo troverai”.
E allora, “che cosa accadde dopo?” chiesi al Vecchio Antonio. Nel momento in cui questi giganti infine morirono, gli Dei risolsero il problema che tutti già starete immaginando: quando gli uomini e le donne piccoli e pesanti muoiono, non c’è una toma che possa contenerli, perché sebbene sembrino piccoli nel corpo, grande è la loro statura. E allora mi disse: “è per questo che nel mondo c’è la ceiba[2]; questi uomini e donne non possono giacere stesi; vivono e muoiono in piedi e quindi devono riposare in piedi, dopo che ci hanno lasciato. Queste persone, questi uomini e donne, quando muoiono, formano parte della grande madre ceiba, che è quella che li avvolge”.
Anni dopo, ancora oggi, continuo a guardare i miei passi e non ci sono impronte, ma continuo a ricordarmi del passo di Ramona e di altri compagni che sono quelli che ci guidano e continuo a vedere che nonostante calpestino il cemento quando si arriva in città, continuano a lasciare un’orma molto profonda, e sempre mi preoccupo di guardare in basso pur di non perderla. E’ con questa impronta, quella dei nostri compagni che ci guidano, tutti indigeni maya – e lo dico proprio qui, in terra maya – che siamo arrivati qui e con essa continueremo a percorrere il Paese.
Può essere che voi non vi rendiate conto e pensiate male; pensiate che se guardo verso il basso sto criticando le scarpe che portate. In realtà, sto guardando la profondità della vostra impronta. Quella che abbiamo visto sinora è ben delineata, stabile e profonda. E’ un onore essere qui con voi, dietro di voi, seguendovi, per costruire insieme questo paese, qualcosa di meglio, più giusto, più libero, più democratico, e che esista davvero. Dove, anzitutto, la natura e l’uomo smettano di distruggersi a vicenda.
Questo è ciò che volevo raccontarvi, perché parte di questo omaggio a Ramona lo consegnerò alla sua famiglia quando ritornerò a casa. E l’altra parte la porrò ai piedi della ceiba dove abbiamo realizzato un accampamento e dove ci rechiamo per ricordarla.
[1] Espressione tipica. Qui segnala le caratteristiche fisiche della Comandanta Ramona. Minuta. Pirinola è una specie di trottola.
[2] Albero sacro