Dov’è il futuro, Mr. Nobody?
Riceviamo e pubblichiamo, articolo a cura di Marco Malinconico
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Negli ultimi trent’ anni la tecnologia si è evoluta con eccezionale rapidità. Non è un caso che durante questo periodo nuove abitudini e modi di concepire la vita hanno rivoluzionato il mondo: stili di vita, riti quotidiani, esperienze collettive che nel Novecento erano relegate all’ immaginario futurologico del cinema hollywodiano, delle arti visive e della narrativa.
Mi viene in mente un esempio calzante a tal proposito. Il celebre fisico americano Brian Greene, nel suo libro intitolato “la trama del cosmo” riporta un aneddoto curioso della sua infanzia: da bambino, racconta, non riusciva a immaginare che fosse possibile costruire un apparecchio simile al computer di bordo dell’ Enterprise, l’ astronave di Star Trek: “una macchina che fosse in grado di fornire ogni tipo di informazione e immagine su tutta la storia passata, qualsiasi libro mai scritto, o qualsiasi specifica tecnica su ogni possibile macchinario esistente.”
A destare ancora più scalpore è il fatto che l’ aneddoto in questione è riportato in uno dei capitoli finali del libro, in cui il fisico getta, con un linguaggio accessibile a tutti, le basi teoriche per il teletrasporto di sistemi complessi. Ci informa, ad esempio, dei due esperimenti portati a termine con successo nel 1997 (la particella coinvolta nell’ esperimento era un fotone, ossia un atomo di luce) grazie a una tecnica basata sull’ entanglement quantistico. Certo, sottolinea il fisico, il teletrasporto di un atomo è ben diverso dal teletrasporto di sistemi complessi, come un orologio, un’ automobile o addirittura materia organica. E, più prudentemente, ribadisce, il secondo caso pertiene, ad oggi, ancora alla fantascienza. In ogni caso, è evidente che il mondo e la vita di cui facciamo esperienza sono fortemente influenzati dalle risorse tecnologiche e dalla loro diffusione nei vari strati della popolazione; in altre parole, scandiamo il tempo sulla base dello sviluppo tecnologico. La iper accelerazione che determina la nostra esperienza quotidiana pertiene dunque (anche) al mondo dell’ ipertecnologia, i cui cambiamenti ed evoluzioni sono rapidissimi.
Molti intellettuali, al di fuori del campo della fisica, notano in questo processo di iper accelerazione implicazioni tutt’ altro che positive e non prive di effetti a lungo termine. È il caso del gruppo degli hauntologi i cui fondamenti sono esposti nell’ opera di Mark Fisher. Basandosi sulla cultura del recupero, gli hauntolgi hanno messo in evidenza i punti deboli di questo processo evolutivo che hanno condotto ipso facto a un presente dominato da una “lenta cancellazione del futuro”. Lenta perché non subitanea, cancellazione perché amplifica da un lato e distorce e annienta dall’ altro, futuro perché l’ azione (del cancellare) è costante e iterata.
Così gli hauntolgi elaborano una cultura, o sensibilità, improntata sul recupero. Possiamo immaginare un’ enorme scala che prosegue all’ infinito (cioè senza fine) i cui gradini rappresentano un tassello dell’ evoluzione umana, e accanto ad essa infinite scale che proseguono altrettanto all’ infinito. Gli hauntologi ammoniscono che noi umani: o abbiamo un piede sopra il gradino di una scala (la nostra, chiamiamola A) e l’ altro su quello di una scala contigua (chiamiamola B), magari più basso, oppure, benchè con tutti e due i piedi sulla scala A, scrutiamo in un circolo vizioso diabolico i gradini di altre scale: B, C, D, e così via, dimenticando la nostra, che dilegua lentamente sotto i nostri occhi. Benchè questo esempio sia molto approssimativo, mi sembra indispensabile per introduttre alcuni aspetti peculiari dell’ hauntology.
Gli hauntolgi, ritornando alla scala, non solo hanno i piedi e lo sguardo rivolti alla scala A, tanto ai gradini inferiori quanto ai superiori, ma ricorrendo alla cultura del recupero lavorano affinchè A non dilegui lentamente, sotto i nostri occhi. Il chiaro paradosso della modernità spinge a domandarsi: perché laddove la tecnologia avanza con passi ciclopici e e l’ evoluzione umana sembra aprire nuovi straordinari scenari, molti intellettuali sono letteralmente assillati dal dubbio che l’ uomo stia pian piano regredendo sotto molti aspetti (culturale, morale, intellettuale)? Fin dagli albori della società borghese e capitalista, de facto diversa da quella odierna, intellettuali e filosofi hanno dibattuto sull’ argomento: a cominciare da Marx, Engels, Bloch, Freud, Jung, per citarne alcuni, fino a quelli contemporanei che racchiudo sotto l’ etichetta degli hauntolgi del ventunesimo Secolo.
La prima cosa che verrebbe da tirare in ballo, se seguiamo le orme della comunità di intellettuali che abbraccia un arco di tempo di circa cento anni (ma che risale a tempi molto più antichi), è la dicotomia apparenza/materia-spirito. Una società dominata dall’ apparenza, dal Kapitale, dalla materia, una società che poggia su queste fondamenta, che regola gran parte delle relazioni umane e delle interazioni tra gli individui sulla base di cose effimere e frivole come il denaro, lascerà sempre meno spazio alla ricerca della spiritualità, della verità, del bene inteso come felicità.
Ed è forse sotto l’ etichetta di “apparenze” che questo insieme di concetti può essere racchiuso. I successi lavorativi e scolastici sono “forme apparenti” dettate da enti anonimi e impersonali come il sistema dell’ istruzione e del lavoro. Stesso discorso per i rapporti di scambio tra gli esseri umani: amore, amicizia, e finanche famiglia, si basano a più livelli su apparenze ben celate che talvolta, venute meno, portano a divisioni e conflitti. Esistono perfino alcune teorie avanzate da scienziati che godono di ampio consenso, tra cui la cosiddetta “teoria della simulazione” secondo le quali la realtà di cui facciamo esperienza è una sorta di simulazione al computer messa in opera da un’ entità extraterrestre (cercate sul web e troverete tutte le informazioni relative a tali teorie). Tuttavia, non è così semplice. Addentrarsi in un discorso così complesso, comporta il rischio di cadere in una rete di domande: le domande, in genere, sono più numerose delle risposte, e le risposte sono spesso incomplete.
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Una riflessione che tenti di analizzare, ad esempio, le motivazioni per cui gli uomini stiano regredendo culturalmente porta inevitabilmente alla formulazione di un’ altra serie di domande. Quando affermiamo che la sottrazione di tempo ostacola un’ istruzione di alto livello più valida di quella offerta dalle istituzioni preposte all’ insegnamento, non possiamo certo ignorare che una serie di fattori influiscano sulla corretta istruzione, come le distrazioni: chiunque infatti, avrebbe, in teoria, la possibilità di leggere quotidianamente. Se non lo fa è perché nel (poco) tempo libero si dedica ad attività meno impegnative come guardare la TV o navigare sul web. Si, ma perché? Senza dubbio la sottrazione di tempo descritta dagli hauntologi è un punto nevralgico del malessere hauntologico – per così dire – contemporaneo. Tuttavia, più che di sottrazione di tempo, io parlerei in maniera esplicita di sottrazione di vissuto. Quella definita dagli hauntologi amnesia anterograda, patologia ubiquitaria che, a più livelli, affligge l’ uomo contemporaneo.
L’ incapacità di formare nuovi ricordi a partire da un avvenimento “traumatico” si traduce in sottrazione di vissuto: incapacità di incapsulare il presente in una narrazione lineare. Da tale distorsione della percezione è nata, a detta degli hauntologi, la tendenza al revival che ha caratterizzato il primo decennio del ventunesimo Secolo. Ancora oggi possiamo rilevare le tracce di questa tendenza, ad esempio nei numerosi remake del Cinema, o nelle serie tv che tentano di ricuperare una particolare atmosfera dei decenni scorsi. A tal proposito è interessante notare che i più giovani hanno coniato un neologismo inglese, “vibes”, per indicare le “vibrazioni” o “atmosfere” ricreate dalla tecnologia dei decenni passati. Il termine vibes, che potrebbe essere benissimo esteso a eventi come party a tema e non solo alla riproduzione tecnologica, viene quasi sempre usato in un’ accezione positiva.
Non è forse questa una prova del nove che suffraga i postulati degli hauntologi? Ma la realtà spettrale di cui parlano gli hauntologi, ha ben poco (se nulla) a che fare con il tempo. In quanto concetto astratto il tempo è relativo. E’ da riferirsi in maniera più specifica a una “densità di vissuto”, a grandi linee collettivo, definito da alcuni intellettuali “traiettoria virtuale”. Senza confondere il personale con l’ impersonale, o più precisamente, filtrando l’ impersonale nel personale, la densità di vissuto è correlata a uno stato dell’ essere che può mutare, a seconda dei casi, per clusters che vivono una determinata esperienza sociale, o per l’ umanità in toto. Lo stato dell’ essere e la densità di vissuto, allorquando le ultime utopie del Novecento (tra le altre quella che Franco Berardi definisce “virtuale”, legata allo sviluppo lineare della tecnologia e della rete in chiave democratica), sono venute meno e quando la su menzionata traiettoria virtuale è lentamente declinata, sono mutati “universalmente”, cioè per l’ umanità in toto,
Anche qui emerge il problema delle cause. Ma non è questa la sede per un’ approfondita disamina. Inoltre, le cause apportatrici di tali cambiamenti costituiscono a ben donde il corpus della riflessione hauntologica. A noi importa prendere in considerazione il cambiamento dal punto di vista fenomenologico e la sottrazione di vissuto che ne consegue. Sulla base di quanto detto, la domanda che sorge spontanea è più o meno la seguente: quando importanti problemi, finanche i basilari, come dove siamo e dove andiamo, saranno svelati e risolti, e la vita dell’ uomo si allungherà di decenni su decenni, cosa resterà dell’ uomo? Quando ci teletrasporteremo, viaggeremo nel tempo, o non moriremo più?
Molti fisici pieni di ego affermano che tutto ciò che definiamo “coscienza” o “spirito” non sia altro che il prodotto di una disposizione peculiare delle particelle del nostro corpo. Affermano che è logico supporre che esista una serie infinita di universi ed esopianeti simili al nostro (teoria del multiverso, su cui tornerò fra poco) e innumerevoli versioni di noi stessi. Tuttavia, poichè nel discorso hauntologico è necessario mettere da parte le equazioni, e cercare una concreta lettura del vissuto umano, siamo spinti a chiederci se quando avremo una soluzione accettabile a molte domande irrisolte, saremo davvero liberi.
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Una chiave di lettura del discorso hauntologico attuale potrebbe giungere da un film del 2009 intitolato “Mr. Nobody”.. Quasi profetico sotto molti aspetti, il film si basa sulla teoria del multiverso. Secondo tale teoria, se il nostro universo è infinito, ci sarà una possibilità di disposizione o configurazione di atomi e particelle limitata ed è giocoforza che tali disposizioni si dovranno ripetere. Dunque in un mondo di universi infiniti, esisteranno molteplici universi simili al nostro e versioni della Terra difformi dalla nostra per particolari. Se questa e altre teorie si rivelassero vere, in questo momento, mentre state leggendo, infinite versioni di voi stesse stanno vivendo simultaneamente. Alcuni di questi vostri “alter ego” stanno leggendo questo paragrafo, altri invece sono stesi al sole sulla spiaggia privata di un resort di lusso dei caraibi, altri vivono cose orribili e inimmaginabili, eccetera.
Il film è ambientato in un futuro (gli anni Novanta del Ventunesimo secolo) in cui gli uomini non muoiono più. Il protagonista, Nemo, l’ ultimo mortale della Terra, ormai anziano, ripercorre il suo vissuto sul letto di morte. La vita di Nemo, tuttavia, sembra essere un insieme infinito di potenzialità, o di realtà. Delle realtà sembra si siano avverate “tutte e nessuna.” L’ accento viene posto sui “cambiamenti” nelle città e nel tessuto della società che riflettono qualità di vita diverse da quelle a noi note. In maniera analoga questa distopia futurologica è eleborata in maniera originale in Black Mirror. Con la differenza che laddove nella serie inglese essa è proiettata in avanti, nel film in questione è fortemente radicata nel passato.
Tornando al film, nella società del suo presente di anziano – a livello fotografico le città futuristiche sono contraddistinte da tinte cupe e luci innaturali – dominano l’ ipocrisia e l’ apparenza. Anzi il presente sembra un gigantesco macchinario dell’ automazione. Dunque, Nemo si rifugia in un mondo totalmente diverso. Al personale: giovinezza, famiglia, amore, si annette l’ impersonale, sintetizzabile nello “stato dell’ essere” e più precisamente: “stato dell’ essere’” e “densità del vissuto” (concernenti criteri vari ed eterogenei).
L’ atrofizzazione delle libertà si manifesta sottoforma di sottrazione di vissuto. Le realtà ipotetiche (ri)percorse dall’ anziano Nemo, tutte probabili, innescano in lui un desiderio: la volontà di fuggire tale condizione. La sottrazione di vissuto genera una sorta di compensazione, nel caso del film, metafisica, che aggiunge vissuto laddove era stato in precedenza tolto. D’ altro canto, la sua amnesia riflette sottilmente quell’ amnesia anterograda che affligge l’ umanità. Il dilemma dei suoi rimpianti non è radicato tanto nel vissuto “aggiunto” – dal momento che tutte le strade sono state percorse, e inoltre Nemo non sa con certezza di averne intrapresa una nello specifico (la non-scelta finale la ritengo alquanto ambigua, motivata da esigenze narrative) – ma dal vissuto tolto. La sottrazione di vissuto diventa quindi una vera e propria “rimozione” di vissuto. Nemo è un dispositivo di memorie proliferanti. Una congerie di possibilità. Tutte false e vere; tutte possibili.
Tale vissuto non è rivolto retroattivamente e contemplativamente al passato, poiché abbiamo dato per vero che tutte le possibilità siano state perseguite. Piuttosto è il contrario: il passato è rivolto retroattivamente verso il presente. I rimpianti di Nemo non riguardano l’ incapacità di accettare la dissoluzione di un passato ormai lontano, dunque non sono nostalgici, ma l’ incapacità di accettare la rimozione del vissuto presente. Il motivo della nostalgia o del rimpianto verso l’ età della giovinezza da parte di persone in veneranda età è comune. Ma potremmo parlare di nostalgia o di rimpianto solo nel caso di vissuto aggiunto (laddove anche il non fare una scelta implica il fare una scelta) e non di vissuto tolto. L’ anziano mortale tra gli uomini resi immortali dalla scienza è un traslato allegorico. E il messaggio che il film vuole lanciare è chiaro.
Per spiegarlo ricorrerò ad un esempio. Avete presente i film sugli zombie? Rappresentato un topos comune del Cinema del secolo scorso. Ecco, gli zombie sono immortali, eppure, in qualche modo, sono morti. Dunque, il paradosso molto chiaro del film è il seguente: essere tra i morti o non essere tra i vivi? Gli immortali, possono essere a loro volta morti, proprio come zombie. La vita è il vissuto umano di Nemo moribondo che ripercorre le sue possibilità, come su detto, tutte realizzate. La morte è l’ immortalità presente, il grande macchinario dell’ automazione e dell’ apparenza. Tutto ciò, se si presta attenzione, ha un legame con la sottrazione o rimozione di vissuto. Due titoli di film che possono spiegare ciò che intendo sono “The Old” e “Click”. In entrambi i film i protagonisti sperimentano una sottrazione di vissuto che rispecchia quello che inconsapevolmente viviamo tutti i giorni. Dunque, il messaggio di Mr. Nobody racchiude una chiara condanna alla società materialista, dominata dall’ apparenza e dalla corruzione dello spirito e dei costumi. La nuova generazione di disillusi che questo grande inganno collettivo ha generato è quanto mai preoccupante:
il sogno di un mondo libero, dominato dall’ amore, è tramontato con la fine del Novecento; l’ utopia della rete, il sogno di un suo sviluppo lineare in senso democratico è stato un raggiro: in pochi anni, infatti l’ economia di profitto e la massiccia opera di centralizzazione hanno drammaticamente ridimensionato una tale possibilità.
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Gli spettri dei futuri perduti dell’ hauntologia costituiscono un legame di vincolo a questa categoria di possibilità irrealizzate. Il motivo principale degli hauntologi risiede in una lettura spettrale del presente. Tale lettura trova giustificazione nel fatto che, in larga parte, se non in toto – dal punto di vista dell’ esperienza umana – lo spettro è ancora in azione. E può giungere a influenzare tanto il presente quanto il futuro. Dal presente visto come infinità di presenze spettrali gli hauntologi traggono la loro raison d’ etre. Da ciò deriva l’ esigenza di nostalgia che ci spinge a ricercare nel profulvio di link a youtube stralci di tempi indefiniti che si mescolano e si diramano nella grande autostrada dei sogni infranti e/o dei futuri perduti. Se per il realista, tale attività è tanto superflua quanto improduttiva, per i fautori dell’ hauntologia ha una forte valenza. Non simbolica, né memoriale, ma proattiva. E erroneamente gli hauntologi sono stati in diverse occasioni accusati di passatismo, di conservatorismo, di incapacità di accettare un presente diverso da come lo immaginavamo il secolo scorso.
E’ inutile sottolineare che tali speculazioni sulla sensibilità hauntologica siano prive di fondamento e sopratutto azzardate per i seguenti motivi: Gli hauntologi non negano né il passato né il presente, né il futuro. Gli hauntologi, semmai, negano la loro capacità di rinuncia al desiderio (Mark Fisher afferma: la melanconia hauntologica consiste nell’ incapacità di rinunciare al desiderio). Dunque non si tratta di una negazione propriamente assertiva o impersonale, quanto di un filtro ideologico e ideale.
Gli hauntologi non hanno perduto le speranze nel futuro. Tutto ciò che ci precede appartiene al passato. Nel recente passato sono nati ideali di fratellanza, di carità e di pace, dalla penna di artisti, scrittori, e filosofi, dall’ occhio innovativo di audaci registi e dalle speranze riposte nella popolazione da gruppi indipendenti impegnati nel sociale. Benchè relegate in quell’ incerta via di mezzo tra il virtuale (la traiettoria) e il reale (l’ effetto minimo) gli input effettivi che tali ideali hanno dato all’ umanità, con i conseguenti effetti che ne derivano, sono senz’ altro degli agenti modificanti, che agiscono per la costruzione di una visione comune migliore. Gli hauntologi ritengono che sminuire la portata e l’ effetto di tali ideologie equivale a seppellire un’ importante fetta della storia dell’ umanità recente: è come se negli anni ‘50 e ‘60 l’ umanità si fosse di colpo dimenticata di essere uscita da due guerre mondiali! Se gli hauntologi avessero perduto ogni speranza nel futuro non si sporcherebbero affatto le mani né si affannerebbero tanto nel ricercare cause e soluzioni, o vie di fuga dalla condizione presente. Si limiterebbero a contemplare le bellezze del passato.
Inoltre, nessun hauntologo nega che il passato abbia dato i suoi frutti marci: da un lato, infatti, l’ hauntologia accusa con fermezza una permanenza di forme persistenti che ostacola una visione futura omogenea e concreta, dall’ altro un iperaccelerazione, frutto dell’ incessante lavoro dell’ avanguardia tecnologica impegnata nella costruzione di un mondo migliore. In conclusione, tornando al film, la distopia di Mr Nobody è un punto di partenza per comprendere, attraverso quel miracolo che è il cinema, il “futuro” che stiamo vivendo. Dunque, mettete da parte i sogni di infanzia, cancellate gli straordinari progetti che avete fatto, bruciate i libri di Dick e Gibson, non ci sono autostrade su cui far volare la vostra auto volante, né viaggi nel tempo, né pianeti vicini su cui trascorrere le vacanze. Non c’ è aria pulita, meno povertà, o sogni di gloria.
Il futuro è un fenomeno microscopico, adatto ai ricchi, ai nuovi sognatori smarriti. E’ un fenomeno prosaico e antipoetico. Chi come me è cresciuto in un’ altra epoca, ha maturato altre aspettative di vita e non avrà bisogno di futuro. Avrà bisogno piuttosto di retro-futuro, di prodigi, di poesia.
Dopotutto, siamo ancora figli di quel futuro: quando eravamo ragazzi lo abbiamo sognato, anzi di più, in un modo che non so dire, né spiegare, lo abbiamo vissuto.
Il futuro nostro, il futuro di tutti, il futuro globale di pace e uguaglianza.
Il futuro bellissimo.







