Il 9 maggio 1978, Peppino Impastato venne ucciso dalla mafia di Cinisi, in Sicilia. Peppino Impastato aveva appena trent’anni, quella sera dell’8 maggio, quando degli uomini al soldo di Gaetano Badalamenti, approfittarono del favore delle tenebre per rapirlo, torturarlo e farlo saltare in aria sui binari. I mafiosi cercarono anche di far passare per suicidio la morte di Peppino, e solo dopo anni, il mandante dell’attentato è stato condannato. Peppino Impastato ha fatto tanto per la sua Cinisi. L’esperienza di Radio Aut, la politica, il giornalismo, le denunce; l’esempio e le lotte che portò avanti sono ancora fonte d’insegnamento per chi crede nei valori della legalità, dell’onestà e per chi crede che la mafia sia una montagna di merda.
Peppino Impastato: il coraggio di ribellarsi
A Cinisi, tutti conoscevano gli Impastato e ben noti erano i legami di questo cognome al clan locale. Luigi Impastato, padre di Peppino, era un mafioso, così come lo erano Cesare Manzella e Gaetano Badalamenti, tutti appartenenti a vario titolo, alla famiglia in cui crebbe Peppino Impastato. In un tale contesto, il giovane Peppino, avrebbe potuto rifiutarsi di capire e seguire semplicemente l’attività malavitosa di famiglia, ma lui scelse una strada diversa. Crebbe in lui la consapevolezza del male che le mafie compiono sui territori, e scelse di avvicinarsi agli ideali di sinistra, dando vita ad associazioni culturali e politiche. Interruppe i rapporti con il padre Luigi, il quale lo cacciò di casa, vergognandosi di avere un figlio che parlava male degli “amici”. Non furono mai interrotti però, i rapporti con il fratello Giovanni e la mamma Felicia, sempre in prima fila per difendere l’onore del figlio ammazzato dal fango e dai depistaggi dei mafiosi.
L’attività politica
Peppino Impastato fu giornalista ed attivista politico. Fondò L’idea socialista, e diede un forte contributo alla fondazione di Lotta Continua. Militò inoltre nel Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (PSIUP) e in Democrazia Proletaria, con la quale si candidò a sindaco nel 1978, ma non poté sapere l’esito delle votazioni perché venne ammazzato. Tra le prime battaglie che lo videro in prima fila, da giovanissimo, quella contro la costruzione della terza pista dell’Aeroporto di Palermo. Le formazioni di sinistra in Sicilia si erano opposte spesso alla realizzazione di quell’aeroporto. Lo scalo si trova a Punta Raisi, una frazione di Cinisi, sormontata da un’alta montagna, che secondo le informazioni dell’epoca, rendeva difficoltose le manovre di atterraggio degli aerei. Inoltre, per la costruzione dell’aeroporto e i successivi ampliamenti, venivano espropriate le terre ai contadini, ed è su questa particolare battaglia che Peppino si spese molto. Quell’Aeroporto serviva anche per il traffico internazionale di stupefacenti, di cui Badalamenti era responsabile. Peppino Impastato lo disse più volte a Radio Aut: le sentenze, arrivate molti anni dopo, confermarono quello che Peppino già sapeva.
Radio Aut: la satira che smontò i mafiosi
Le denunce, le manifestazioni, gli articoli. Tutto questo non bastava per smascherare i mafiosi; non bastava per soddisfare quella voglia di giustizia che in Peppino Impastato costituì il motore per il suo operato. Il carisma di Peppino lo spinse a trovare l’unica arma che poteva dare fastidio ad un sistema mafioso, basato sul rispetto del capomafia e della riverenza dei sottoposti. Peppino individuò quell’arma: la satira. Il dileggio, la presa in giro, lo sberleffo, a quei mafiosi, suoi parenti, che erano a tutti gli effetti i padroni di Cinisi. Per questo motivo, nel 1977, a Terrasini, vicino Cinisi, nacque Radio Aut, radio libera ed autofinanziata. La radio divenne in breve tempo un luogo di condivisione e diffusione culturale: veniva trasmessa musica alternativa, ma c’erano anche rubriche culturali e filosofiche, nel solco di quegli anni. Tuttavia Radio Aut nacque per consentire allo stesso Impastato di poter parlare liberamente dei mafiosi di Cinisi e Terrasini. Il venerdì sera Peppino conduceva Onda Pazza a Mafiopoli, una trasmissione satirica in cui prendeva in giro i clan: la Mafiopoli di cui parlava era Cinisi, mentre Gaetano Badalamenti veniva chiamato Tano Seduto. I mafiosi venivano sbeffeggiati pubblicamente, ma ne venivano svelati anche gli affari e i loschi traffici. Molte di quelle accuse mosse da Peppino sono state confermate poi dalla Commissione Parlamentare Antimafia.
9 maggio 1978: l’assassinio e il depistaggio
Peppino Impastato era candidato alle elezioni amministrative di Cinisi con Democrazia Proletaria. Il 7 maggio tenne il suo ultimo comizio pubblico. La sera dell’8 maggio, fece la sua ultima trasmissione a Radio Aut. I mafiosi lo aspettavano in una strada isolata e buia; lì lo rapirono e lo condussero in un casolare adiacente ai binari della locale stazione ferroviaria. Lo tramortirono ed infine lo legarono assieme a del tritolo, ai binari della ferrovia, facendolo saltare in aria. La mattina del 9 maggio, Cinisi si svegliò con la notizia di un’esplosione e la morte di un giovane attivista, ma perlopiù, i giornali e le istituzioni dell’epoca erano focalizzati sul ritrovamento del corpo di Aldo Moro, in via Caetani a Roma. A Cinisi nel frattempo, i mafiosi vollero far passare l’esecuzione barbara di Peppino, come un tentativo di sabotaggio finito male. Infatti, la prima ipotesi delle forze dell’ordine fu quella: Peppino Impastato (la cui auto fu trovata vicino al luogo dell’esplosione), nel tentativo di compiere un attentato dinamitardo alla stazione è saltato in aria. Gli amici di Peppino, la madre Felicia ed il fratello Giovanni non crebbero mai a questa versione. Raccolsero i pezzi del corpo di Peppino, scattarono foto del luogo dell’omicidio e fecero compiere le indagini. Il magistrato Rocco Chinnici fu il primo a portare avanti la causa sostenuta da Felicia e gli amici di Peppino. Chinnici fu il primo ad affermare che quello di Peppino non fu un suicidio, ma un omicidio mafioso. L’indagine di Chinnici gli costò la vita: venne assassinato nel 1983 con un’autobomba sotto casa. Nel 1984, il magistrato Antonino Caponnetto emise una sentenza in cui si confermava la matrice mafiosa dell’omicidio, ma non c’era ancora un colpevole.
Giustizia è fatta
La famiglia e gli amici di Peppino, costituitisi nel Centro Impastato, dovettero attendere molto per avere giustizia. Nel 1986 Felicia Bartolotta, madre di Peppino, scrisse il libro La mafia in casa mia, in cui denunciò le minacce mosse da Badalamenti a Peppino, mentre venivano diffusi dossier in cui Tano Seduto era indicato come mandante del delitto. Nel 1992 il caso Impastato venne archiviato per impossibilità di trovare i colpevoli. Seguirono due anni di richieste da parte del Centro Impastato, di petizioni popolari ed esposti, ma il caso venne riaperto solo quando, nel 1996, il mafioso Palazzolo, in alcune dichiarazioni, fa il nome di Gaetano Badalamenti quale mandante dell’omicidio di Peppino Impastato. L’anno successivo venne emesso l’ordine di cattura per Badalamenti, ma per la condanna si dovette attendere ancora un pò. Nel 1998, grazie alla relazione della Commissione Parlamentare Antimafia, furono accertate anche le colpe delle Forze dell’Ordine nel tentativo di depistaggio. Nell’indagine vennero coinvolti alcuni agenti, che sostenevano l’ipotesi dell’attentato terroristico finito male. La condanna definitiva per Tano Badalamenti arrivò nel 2001: trent’anni di reclusione, poi commutati in ergastolo l’anno successivo. Il mafioso tuttavia, morirà tre anni dopo la sua condanna, in un carcere statunitense. Giustizia è fatta, ma dopo quanto tempo?
Peppino Impastato: l’esempio
La vita condotta da Peppino Impastato è ancora oggi un esempio per tutte le persone che credono nella giustizia: “Peppino è vivo e lotta insieme a noi. Le nostre idee, non moriranno mai”, questo gridava il coro al suo funerale, quando migliaia di persone sfilarono col pugno alzato per le strade di Cinisi, fermandosi anche sotto casa del Badalamenti, residente a soli 100 passi dalla casa di Peppino. L’insegnamento che ci ha lasciato Peppino è fondamentale: distinguere il bene e il male, ed anche se quel male ti appartiene, fa parte della tua famiglia, devi avere il coraggio di ribellarti. Peppino si è impegnato ed ha sfidato quel muro di omertà e paura, quel muro che faceva addirittura negare l’esistenza, di un qualcosa chiamato mafia. Peppino è stato controcultura, informazione, bellezza e voglia di giustizia. Peppino è stato informazione pura, protesta e rivoluzione, ma soprattutto coraggio. Il coraggio delle parole, perché nella parole risiede la vera forza. Non c’è forza nella prepotenza, nella prevaricazione e nel colpire alle spalle. Peppino Impastato ha avuto il coraggio di sfidare la mafia, sbattendo in faccia ai capimafia, nomignoli e affari sporchi. I mafiosi invece hanno approfittato del buio, e della connivenza delle istituzioni, per cancellare la sua esistenza. Ma hanno sbagliato il nome di Peppino Impasto è ancora un esempio, e non sarà dimenticato.