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In ricordo della schiavitù: un problema ancora attuale

Il 25 marzo ricorre la Giornata Internazionale in ricordo delle vittime della schiavitù e della tratta transatlantica degli schiavi. In questa occasione si ricordano i milioni di africani che furono deportati nelle Americhe nei secoli passati. Ma la schiavitù, abolita sulla carta, è davvero scomparsa?

Domenico Modola di Domenico Modola
25 Marzo 2021
in Impronte migranti, Impronte solidali
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In ricordo della schiavitù: un problema ancora attuale
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Il 25 marzo ricorre la Giornata Internazionale in ricordo delle vittime della schiavitù e della tratta transatlantica degli schiavi. In questa occasione si ricordano i milioni di africani che furono deportati nelle Americhe nei secoli passati. Ma la schiavitù, abolita sulla carta, è davvero scomparsa?

Lo chiamano il “Black Holocaust”, l’olocausto nero. Un genocidio durato circa 400 anni e che è costato 15 milioni di vittime a vario titolo. La Giornata Internazionale in ricordo delle vittime della schiavitù è stata proclamata nel 2007 dalle Nazioni Unite e serve a ricordare quella che, senza mezzi termini, è definita come la peggior violazione dei diritti umani della storia. Le deportazioni di uomini, donne e bambini, estirpati dai loro villaggi in Africa per essere destinati a lavorare, in condizioni di schiavitù, alle piantagioni di cotone, caffè e cacao in America è stata per secoli una prassi indisturbata. Per quattro secoli i neri africani, ritenuti inferiori o “non umani”, erano considerati carne da macello, utile alla produzione di materie prime nelle colonie, per l’esportazione in madre patria.

Fu il Regno Unito il maggior carnefice dei milioni di africani. D’altronde, il Commonwealth britannico è stato l’impero più grande al mondo per molto tempo, con colonie praticamente in ogni continente. La colonia più fertile per risorse, navigabilità, e spazio territoriale, erano le Americhe: gli attuali Stati Uniti, ma anche le isole caraibiche e i paesi del sud. Tuttavia le medesime rotte furono seguite anche da spagnoli, belgi, francesi. La tratta degli schiavi era un ghiotto business per le compagnie di navigazione, quindi tutte ambivano ad una propria fetta di quel mercato. Gli schiavi africani erano considerati proprio come una materia prima, destinati alla semplice produzione. Diritti zero.

Le compagnie si recavano in Africa e rapivano donne, bambini, adulti. Spesso venivano sradicati interi villaggi e quelle persone venivano caricate nelle cosiddette navi negriere. Da questo punto partiva la lunga tratta: un viaggio di mesi verso gli Stati Uniti o i Caraibi; mesi che gli africani trascorrevano incatenati, stipati uno accanto all’altro in delle stive piene oltre ogni misura. Non potevano muoversi o alzarsi; non potevano espletare le proprie funzioni fisiologiche in maniera decente. Trascorrevano quindi la traversata in mezzo ai loro stessi bisogni, al vomito, al sangue. Le malattie erano una semplice conseguenza e, quelli che ne morivano, venivano semplicemente gettati in mare. Si stima che 4 milioni di schiavi siano morti sulle navi, ancor prima di giungere a terra.

Poi la schiavitù venne abolita. Nel ‘700 venne messa in discussione per la prima volta. Successivamente vi furono bolle papali contro questa pratica, indignazioni da varie parti e discussioni di carattere illuministico, sui risvolti etici della schiavitù. Tuttavia si dovette attendere l’800 per l’abolizione definitiva. Nel 1864 la schiavitù venne abolita anche negli Stati Uniti. Fecero eco molti altri paesi a più riprese ed oggi, formalmente, la schiavitù è una pratica illegale. Bisogna ricordare però, che solo nel 1948, con la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, venne sancito su carta, a livello internazionale, che la schiavitù è una pratica illegale. Quindi, grazie a questi progressi, oggi il termine “schiavitù” suona male, provoca indignazione in chi lo ascolta. Ma la schiavitù, è davvero una pratica del passato?

Purtroppo no. Al mondo ci sono ancora molte persone in condizione di schiavitù. Non è facile stabilire un numero con precisione, questo perché tale numero varia in base alle concezioni culturali dei singoli paesi, ed in base all’accezione stessa che si ha del termine “schiavitù”. Sembra che comunque questo numero vari tra un minimo di 12 milioni ad un massimo di 40 milioni. Una cifra che resta comunque impressionate, in entrambi i casi. Secondo le organizzazioni internazionali, a vecchie pratiche schiaviste, si sono affiancate anche altre pericolose prassi. Attualmente sembra che la situazione peggiore si riscontri in India, dove, per motivi culturali (la divisione della società in caste), alcune persone nascano già in condizione di schiavitù. Si tratta dei paria, i cosiddetti intoccabili. Essi sono considerati fuori dal sistema sociale induista delle caste, quindi a loro è negato l’accesso ad ogni forma sociale, salvo l’utilizzo in forma di schiavitù, per produrre beni di consumo per altri.

In India con i paria, ma anche in Afghanistan con le schiave bambine date in matrimonio ed in altre realtà sparse nel mondo, la schiavitù è stata tardivamente abolita, ma i governi abolizionisti, hanno incontrato critiche e proteste oppure, serie difficoltà nell’applicare la legge. In molti paesi, la schiavitù, seppur illegale è ampiamente tollerata. Stesso discorso vale per la tratta di esseri umani. L’Arabia Saudita ad esempio, è ancora oggi, un paese in cima alla classifica per questa pratica. A questi fenomeni, radicati culturalmente in alcuni paesi, vanno associate le ragioni economiche commerciali che danno vita a pratiche illecite di deportazione, tratta di esseri umani e riduzione in schiavitù.

I paesi occidentali non sono esenti dal discorso. Seppur in Europa, il fenomeno in Europa è quasi scomparso, o perlomeno non ha più le sembianze di uno schiavismo di stato. Le nazioni europee sono colpevoli di tacere sulla provenienza losca dei beni di consumo acquistati, frequentemente prodotti da persone ridotte in schiavitù. Un esempio è il caso della Repubblica Democratica del Congo. Da quelle parti c’è la quasi totalità del coltan presente sul pianeta. Il coltan è una lega di due minerali, columbite e tantalite, indispensabile per la costruzione degli smartphone. Nei giacimenti, freddi e umidi, lavorano minori, donne e adulti in condizione di schiavitù o semi-schiavitù, al servizio di compagnie senza scrupoli, le quali a loro volta svolgono committenze per le grandi case produttrici di smartphone.

E l’Italia? nel nostro paese ci sono molte persone ridotte in schiavitù. I settori principali in cui si verifica questo fenomeno sono l’agricoltura e la prostituzione. Nelle campagne di tutta Italia, lavorano tantissime persone, immigrate per un futuro migliore e ridotte in schiavitù. La cronaca degli ultimi anni ci ha consegnato numerosi esempi: rumeni ammassati in bugigattoli, africani morti per incidenti stradali sulle campagne ecc. Gli alloggi di fortuna, dove spesso trovano la morte giovani migranti, per le avverse condizioni di vita dovrebbero servire da monito. Tuttavia, i prodotti della fatica di quegli schiavi arriva quotidianamente sulle tavole degli italiani, e nessuno fa domande.

Sul fronte prostituzione il fenomeno è sicuramente più noto. Tanto noto quanto ignorato. Le prostitute finite sulle strade del nostro paese partono con un sogno, ma spesso vengono soggiogate da quello che diventerà il loro carceriere. Partono per trovare fortuna, trovano la strada. Le vittime di tratta provengono dall’Est Europa o dall’Africa, in particolare dalla Nigeria. Spesso sono minori e quasi sempre subiscono violenza. In sostanza la schiavitù, oggi non può dirsi scomparsa. Le forme di schiavitù si evolvono sulla base dei tempi che cambiano e vedono la tolleranza di istituzioni e governi che si voltano dall’altra parte. Spesso conviene così. Ad oggi però, questo costituisce una violazione dei Diritti Umani. Per impedire tutto ciò bisogna partire dalla consapevolezza. Il fenomeno va abolito, ma questa volta per davvero.

Tags: immigrazioneimpronte migrantiImpronte socialilavoroschiavitùtratta degli esseri umani
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