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DOSSIER: REDDITO DI CITTADINANZA E DISCRIMINAZIONI

Redazione di Redazione
23 Gennaio 2021
in Impronte migranti
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DOSSIER: REDDITO DI CITTADINANZA E DISCRIMINAZIONI
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Dossier presentato all’UNAR dalla rete CAMPANIA SOLIDALE

All’attenzione del Presidente dell’UNAR

Gentile Presidente,

a seguito della collaborazione avviatasi nel mese di Dicembre 2020, in cui proficuamente la sinergia attivata tra UNAR e la rete Campania Solidale è riuscita ad incidere nella stesura dei Bandi per l’accesso alle misure di solidarietà alimentare in senso antidiscriminatorio, si invia il seguente Dossier in cui si rilevano modalità discriminatorie per l’accesso al Reddito di Cittadinanza.

Il D.L. n.4 del 28 gennaio 2019 istituisce il Reddito di cittadinanza, definendolo “misura fondamentale di politica attiva del lavoro a garanzia del diritto al lavoro, di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale, nonché diretta a favorire il diritto all’informazione, all’istruzione, alla formazione e alla cultura attraverso politiche volte al sostegno economico e all’inserimento sociale dei soggetti a rischio di emarginazione nella società e nel mondo del lavoro” (art. 1 co. 1).

La finalità nobile del provvedimento è chiaro, eppure il suo impianto iniziale è portatore di palesi discriminazioni relative ai requisiti di accesso al beneficio espressi nell’art. 2.

  • L’art. 2 co. 1 lett. a) punto 1) apre l’accesso al RdC/PdC, relativamente ai cittadini di Paesi extraUE, soltanto ai titolari del Permesso di Soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo.
  • Il punto 2) seguente richiede, tra le altre cose, la residenza in Italia per almeno 10 anni;
  • Sempre all’art. 2 co. 1 lett. b), troviamo invece alcuni requisiti patrimoniali relativi sia alla forma mobiliare che immobiliare, oltre che all’ISEE che rappresenta un documento familiare;

In occasione del passaggio alle Camere che ha portato alla Legge di conversione n.26 del 28 marzo 2019, nell’art.2 sono stati inseriti i seguenti commi 1-bis e 1-ter, che introducono ulteriori requisiti unicamente per i cittadini di Paesi stranieri: 

1-bis.  Ai  fini  dell’accoglimento  della  richiesta  di   cui all’articolo 5 e con specifico riferimento ai  requisiti  di  cui  a comma 1, lettera b), del presente articolo nonché per comprovare  la composizione del nucleo  familiare,  in  deroga  all’articolo  3  del regolamento di cui  al  decreto  del  Presidente  del  Consiglio  dei ministri 5  dicembre  2013,  n.  159,  i  cittadini  di  Stati   non appartenenti   all’Unione   europea    devono    produrre    apposita certificazione rilasciata  dalla  competente  autorità  dello  Stato estero, tradotta in  lingua  italiana  e  legalizzata  dall’autorità consolare italiana, in conformità a quanto disposto dall’articolo  3 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica  28 dicembre 2000, n. 445, e dall’articolo 2 del regolamento  di  cui  al decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394. 

1-ter. Le disposizioni di cui al comma 1-bis non si applicano:  

  1. nei confronti dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea aventi lo status di rifugiato politico;   

b)   qualora convenzioni internazionali dispongano diversamente; 

c) nei confronti di cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea nei quali è oggettivamente impossibile acquisire le certificazioni di cui al comma 1-bis. A tal fine, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale,  è definito l’elenco dei Paesi nei quali non è possibile  acquisire  la documentazione necessaria per la compilazione della DSU ai fini ISEE, di cui al citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013. 

Al momento, sottolineiamo che al co. 1-ter lett. a) si fa riferimento ai titolari di protezione internazionale, che vengono esonerati dal produrre la documentazione aggiuntiva di cui sopra, senza che però i titolari di questa specifica tipologia di documento siano esplicitamente inseriti tra coloro che possono accedere al beneficio. Questo è per noi un esempio emblematico della strategia che si è deciso di adottare per rimediare al carattere discriminatorio di alcune parte della normativa: invece di andare ad intervenire chirurgicamente sulla stessa, infatti, si è scelto di procedere per anomalie ed artifici, con fonti giuridiche meno “appariscenti” e che, in alcuni casi, sono stati anche efficaci, ma in altri restano assolutamente insufficienti. 

E’ il caso dei titolari di protezione sussidiaria, non contemplati dalla normativa ma la cui esclusione avrebbe costituito una palese incompatibilità con dell’incompatibilità con il principio paritario, dotato di efficacia diretta, della Direttiva UE 2011/95 che all’art. 29 prevede il diritto alla parità di trattamento nell’accesso all’assistenza sociale, sancendo che:  “Gli Stati membri provvedono affinché i beneficiari di protezione internazionale ricevano, nello Stato membro che ha concesso tale protezione, adeguata assistenza sociale, alla stregua dei cittadini dello Stato membro in questione”.

In tal senso, si esprime anche l’Articolo 14, rubricato Divieto di discriminazione della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo: “Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita o ogni altra condizione”.

In questo caso, la risoluzione del problema è stata rinvenuta direttamente nel modulo di presentazione della richiesta di accesso al RdC/PdC elaborato dall’INPS, che nella casistica della tipologia di documenti dei cittadini stranieri, ha inserito anche i titolari di Protezione sussidiaria oltre che, ovviamente, di protezione internazionale. 

Segue il Decreto Interministeriale del 21 ottobre 2019 del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali di concerto con il Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, nel quale rinveniamo due informazioni importanti: la prima è “disciolta” nelle varie considerazioni, ed in sostanza fa cadere l’assurda richiesta di documentazione da rinvenire nei Paesi d’origine in merito alla composizione del nucleo familiare, in quanto “non appaiono esservi situazioni che non siano accertabili da parte delle competenti autorità italiane mediante la verifica della residenza anagrafica”; la seconda invece delimita notevolmente l’insieme dei Paesi dai cui cittadini si richiede di produrre la documentazione prevista dall’art. 2 comma 1-bis. In sostanza, si procede in questo modo ad una notevole attenuazione, ma non al completo superamento del carattere discriminatorio della normativa. 

La stessa prassi la rinveniamo nel Messaggio INPS n. 4516 del 3 dicembre 2019, inerente sempre le domande presentate dai cittadini non appartenenti all’Unione europea: al punto 1 lett. b) si sancisce che quanti sono tenuti agli obblighi di cui articolo 2, comma 1-bis, del D.L. n. 4/2009, devono produrre certificato relativo solo al patrimonio immobiliare tenuto all’estero, escludendo quindi altre tipologie patrimoniali e, nuovamente, la composizione del nucleo familiare.

Molto importante è la nota 3803 del 14/04/2020 dell’Ufficio Legislativo del Ministero del Lavoro, che in risposta ad un quesito posto dalla Direzione Generale per la lotta alla povertà, risponde che “ai fini dell’accertamento del requisito di cui sopra [la residenza di 10 anni] i competenti servizi comunali possono chiedere ai soggetti, con regolare titolo di soggiorno, richiedenti il RdC, di dimostrare – qualora non risultasse sufficiente il ricorso alle verifiche anagrafiche – la sussistenza della residenza effettiva, mediante oggettivi ed univoci elementi di riscontro.”. 

Segue il richiamo ad una consolidata giurisprudenza che, in pratica, considera valida la prova dei mezzi consentiti dall’ordinamento in luogo della residenza anagrafica. In seguito, si fa anche riferimento alla dubbia legittimità del requisito decennale, considerando che “la giurisprudenza costituzionale più recente (Corte Cost. n.44 del 2020) sembra attestarsi su principi piuttosto rigidi (anche alla luce di quella della Corte di Giustizia) sulla possibilità di condizionare l’accesso a sussidi o sostegni di carattere primario (nel caso del reddito di cittadinanza anche a copertura europea sia dall’art. 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea che degli artt. 30 e 31 della Carta sociale del Consiglio d’Europa) al possesso di requisiti di residenza troppo esigenti, sicché sembrerebbe doversi dare, in caso di dubbio, un’interpretazione conforme della normativa in parola […] cui è tenuta anche la pubblica amministrazione”.

Quanto “sembra” o “sembrerebbe” in realtà è definito in modo abbastanza schiacciate dalla giurisprudenza italiana ed europea, di cui in seguito citeremo le fonti. 

Il dato che qui ci preme sottolineare, è che questa farraginosa alchimia, se da un lato dà la possibilità concreta a qualcuno di poter comunque usufruire del beneficio, dall’altro rappresenta una modalità di selezione ancora più discriminante giacché non si riferisce ad un criterio oggettivo da rispettare (che già era discriminante in sé), ma individua delle modalità di dimostrazione (le prove dei mezzi) che qualcuno può effettivamente possedere ma altri no. Perciò riteniamo che il carattere discriminatorio non sia assolutamente superato da questa nota, ma al contrario sia stato ampliato dal punto di vista del principio.

Le modalità di controllo del requisito della residenza erano già state indicare nella Conferenza Stato-Città del 04/07/2020, in quanto di competenza dei Comuni. Già qui c’era un’indicazione abbastanza esplicita di rendere prioritaria la verifica della componente “biennale” della residenza: “E’ in particolare comunicato [dai Comuni all’INPS] se il requisito sia soddisfatto con riferimento alla continuità della residenza negli ultimi due anni precedenti la presentazione della domanda, pur in assenza di informazioni sul possesso del requisito nella sua interezza”.

Abbiamo ritenuto necessario questo excursus sull’evoluzione normativa per dimostrare come, il carattere discriminatorio della normativa sia elemento di consapevolezza del legislatore, che ha cercato volta per volta di attenuarlo agendo lateralmente sulla normativa con strumenti che non beneficiano nemmeno della visibilità della norma, ma che spesso sono riservate puramente agli addetti ai lavori. La natura di queste modifiche dunque rispecchia una volontà positiva di superare il carattere discriminatorio dei requisiti si accesso, ma il risultato è estremamente parziale ed insoddisfacente. L’esclusione dovuta a motivi discriminatori resta nel patrimonio genetico dell’iter che un richiedente il beneficio deve provare a percorrere. 

Il RdC può essere ricompreso nell’alveo dell’art. 117 co. 2 lett. m) Cost, per espressa previsione del legislatore che all’art. 1 comma 1 del presente decreto sancisce che il Rdc costituisce livello essenziale delle prestazioni. Tali livelli minimi delle prestazioni sono stati considerati già da tempo dalla Corte Costituzionale e definiti “diritti inviolabili dell’uomo il godimento dei quali non tollera discriminazioni tra il cittadino e lo straniero”.

Sempre secondo l’insegnamento della Corte Costituzionale (sentenza 187/10), “è consentito allo Stato, entro certi limiti, discriminare l’accesso a determinati strumenti di welfarea seconda della cittadinanza del richiedente. Questi limiti devono però tenere conto dei principi di non discriminazione e di rispetto dei diritti primari della persona: ovvero non è possibile negare «un rimedio destinato a consentire il concreto soddisfacimento dei “bisogni primari” inerenti alla stessa sfera di tutela della persona umana, che è compito della Repubblicapromuovere e salvaguardare; rimedio costituente, dunque, un diritto fondamentale perché garanzia per la stessa sopravvivenza del soggetto”. La lotta a forma di povertà estrema, di cui il reddito di cittadinanza è strumento primario e principale, rientra a pieno titolo nelle misure estese a tutti, cittadini e stranieri, inerendo ai bisogni primari e alla sopravvivenza del soggetto, per cui non sono ammesse limitazioni di sorta, né discriminazioni.

Per quanto concerne i requisiti della residenza decennale, il requisito della residenza decennale nel territorio italiano non può essere mantenuto, in quanto incostituzionale e contrario al diritto sovranazionale convenzionale e comunitario.

Sommando il panorama legislativo in merito al divieto di discriminazione – art 14 CEDU, l’art. 19 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, art 3 costituzione) è possibile affermare che limitare il diritto al RdC ed alla PdC ai soli residenti nel territorio italiano da ben 10 anni significa escludere da una fondamentale misura di welfare, pensata per garantire la sopravvivenza dei più vulnerabili, cittadini che, pur avendo vissuto parte della propria vita all’estero, hanno fatto ritorno in patria. Non si capisce secondo quale criterio di ragionevolezza una siffatta ipotesi possa essere ammessa nel nostro ordinamento. Sufficiente, per il cittadino sia italiano che straniero, a limitare l’abuso del diritto o la frode alla legge, è la richiesta residenza in territorio italiano da almeno 2 anni consecutivi nell’ultimo biennio, in quanto evita ritorni in patria finalizzati al solo obiettivo di ottenere il beneficio. A riprova di ciò è la mancanza di suddetto requisito in tutte le altre misure di welfare previsto dal nostro ordinamento.

Per quanto concerne invece l’abrogazione dei commi 1-bis e 1-ter, introdotti al Senato, si rileva l’applicazione di alcuni principi presenti nel Regolamento Comunale che disciplinava l’accesso alle agevolazioni inerenti le mense scolastiche nel Comune di Lodi, approvato da Delibera di Consiglio Comunale n.28 del 04/10/2017.

Tale Regolamento pure richiedeva ai cittadini dei Paesi extraUE certificazione atta a comprovare l’eventuale esistenza di redditi patrimoni detenuti all’estero, ossia nei Paesi d’origine, nonché la composizione del nucleo familiare. La certificazione richiesta sarebbe dovuta essere stata rilasciata dalla competente autorità dello Stato estero, tradotta in lingua italiana e legalizzata dall’Autorità consolare italiana, ed era, così come quella richiesta dal D.L. 4/2019, aggiuntiva alla documentazione già richiesta ai cittadini italiani ed europei.

Con le dovute differenze tra un Regolamento comunale e la normativa nazionale, si riscontrano nei succitati commi diverse criticità già evidenziate dall’Ordinanza RG 20954/2018 del Tribunale di Milano inerente proprio il Regolamento di cui sopra.

Innanzitutto, anche qui non è presente alcuna proporzionalità tra la deroga al principio di parità di trattamento (Art. 2 D. L.vo 286/98) e lo scopo di verificare la veridicità delle dichiarazioni ai fini delle domande presentate per l’accesso al RdC o alla PdC.

Anche in questo caso, inoltre, c’è un richiamo all’art. 3 del DPR 445/2000 che può considerarsi non rilevante visto il carattere generico della norma, che soggiace dunque rispetto alla disciplina speciale rappresentata dal DPCM 159/2013 che va a riferirsi all’ISEE, e in particolare alle sue modalità di di determinazione e campi di applicazione. A nulla vale anche il riferimento contenuto nel comma 1-ter dell’art. 2 del Decreto Legge in esame, giacché, come già illustrato dall’Ordinanza del Tribunale di Milano, esso si limita a riprodurre quanto già statuito dall’art. 3 DPR 445/2000 di cui è mera disposizione regolamentare ed attuativa. 

Il carattere discriminatorio diretto dei due emendamenti di cui si richiede l’abrogazione, concernente la nazionalità che rientra tra le motivazioni per le quali è adducibile una discriminazione come da art. 43 co. 1 D. L.vo 286/98, sta nel richiedere ai soli cittadini extraUE la presentazione di documentazione che non rientra tra i controlli attualmente esercitabili dagli enti erogatori prestazioni sociali mediante l’accesso agli archivi di INPS e Agenzia delle Entrate (come da art. 11 co. 2 DPCM 159/13), mentre si dispensano i cittadini italiani e dei Paesi membri dell’UE dall’attestazione di redditi e patrimoni ugualmente all’estero irrintracciabili da soggetti italiani pubblici o privati che siano. 

Ci richiamiamo anche alla Sentenza della Corte Costituzionale 166/18, anche se questa inerisce una situazione differente quale la concessione di contributi integrativi per il pagamento dei canoni di locazione, da erogarsi a soggetti che si trovino in una situazione di indigenza qualificata. Tra i criteri per l’acceso a tale beneficio, a seguito del D.L. 112/2008, poi convertito nella L. 133/2008, erano previsti anche alcuni requisiti richiesti soltanto ai cittadini di Paesi non appartenenti all’Unione Europea e agli apolidi, attinenti alla durata della residenza nel territorio nazionale e di quella nel territorio di una regione;

La Corte ha osservato che “il legislatore può legittimamente circoscrivere la platea dei beneficiari delle prestazioni sociali in ragione della limitatezza delle risorse destinate al loro finanziamento (sentenza n. 133 del 2013). Tuttavia, la scelta legislativa non è esente da vincoli di ordine costituzionale”; 

Tra questi ultimi vi è il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.; la Corte osserva che “tale principio può ritenersi rispettato solo qualora esista una «causa normativa» della differenziazione, che sia «giustificata da una ragionevole correlazione tra la condizione cui è subordinata l’attribuzione del beneficio e gli altri peculiari requisiti che ne condizionano il riconoscimento e ne definiscono la ratio» (sentenza n. 107 del 2018)”; il concetto viene ulteriormente precisato, stabilendo che “occorre pur sempre che sussista una ragionevole correlazione tra la richiesta e le situazioni di bisogno o di disagio, in vista delle quali le singole prestazioni sono state previste”;

Tale principio di ragionevolezza, richiamato dalla Corte, impone di ancorare a un canone di necessaria correlazione gli adempimenti richiesti a chi aspira a fruire di una prestazione sociale agevolata e le situazioni di bisogno per le quali le prestazioni sono previste; rileviamo dunque, nel caso di specie degli emendamenti 1-bis e 1-ter, l’assenza di tale ragionevolezza nell’introduzione di una così netta differenziazione della posizione di chi è cittadino di Paesi terzi rispetto a quelli italiani o comunque di Paesi appartenenti all’UE.

SI RIPORTA INFINE LO STRALCIO DI UN AUTOREVOLE commento dell’ASGI SUL TEMA:

Il fatto dunque che detto requisito non sia previsto per i soli stranieri non esime dall’obbligo di vagliare la legittimità dello stesso sia alla luce del generale principio di uguaglianza ex art. 3 Cost., sia alla luce del divieto di discriminazione (anche indiretta) in ragione della nazionalità di cui all’art. 14 CEDU e 18 TFUE. 8.A. 

Sotto il profilo della ragionevolezza il requisito non sembra reggere il controllo di costituzionalità per due motivi:

1)  Perché è irragionevole nella sua entità, negando al soggetto bisognoso (italiano o straniero che sia) un indispensabile aiuto per l’uscita dalla povertà per un periodo lunghissimo successivo all’ingresso in Italia. Tra l’altro la norma, prevedendo la possibilità di cumulare, al fine del raggiungimento dei 10 anni, periodi tra loro lontanissimi, finisce per pervenire ad effetti illogici: ad es. quello di ritenere maggiormente “radicato” in Italia un soggetto che vi abbia passato 8 anni nell’infanzia e due subito prima della domanda, rispetto a un altro che vi abbia trascorso gli ultimi 4 o 5 o 9 antecedenti la domanda.

2) Perché non tiene conto che il “radicamento” (che deve necessariamente guardare anche al futuro e non solo alla pregressa residenza) è già di per sé garantito dalla residenza in Italia al momento della domanda e dal necessario rispetto del progetto (che deve avere svolgimento necessariamente in Italia) durante l’erogazione del beneficio. 

Nel senso della irragionevolezza del requisito sotto entrambi i profili appena indicati depongono numerosi precedenti della Corte Costituzionale:

a) Sent. 166/18 riferita al requisito di 5 anni di residenza nella Regione per un contributo affitti (previsto per i soli stranieri), secondo la quale “non si può ravvisare alcuna ragionevole correlazione tra il soddisfacimento dei bisogni abitativi primari della persona che versi in condizioni di povertà e sia insediata nel territorio regionale, e la lunga protrazione nel tempo di tale radicamento territoriale”. 

b) Sent. 106/18 riferita al requisito dei 10 anni di residenza nello Stato per i soli stranieri secondo la quale l’irragionevolezza e mancanza di proporzionalità del requisito si risolve “in una forma dissimulata di discriminazione nei confronti degli extracomunitari”. 

c) Sent. 107/18, riferita al titolo preferenziale di 15 anni per l’accesso all’asilo (previsto sia per italiani che stranieri) , ove si afferma che “La configurazione della residenza (o dell’occupazione) protratta come titolo di precedenza per l’accesso agli asili nido, anche per le famiglie economicamente deboli (ma lo stesso potrebbe dirsi per la residenza protratta come condizione di accesso a una prestazione come il RDC) si pone in frontale contrasto con la vocazione sociale di tali asili (come pure con la vocazione sociale di una prestazione di contrasto alla povertà; n.d.r.). Il relativo servizio risponde direttamente alla finalità di uguaglianza sostanziale fissata dall’art. 3, secondo comma, Cost.”

d) Sent. 168/14 secondo la quale il requisito di 8 anni di residenza nella Regione (previsto per italiani e stranieri) “determina un irragionevole discriminazione sia nei confronti dei cittadini dell’Unione…sia nei confronti dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo”13; 

f) Sent. 172/13 relativa al requisito di 3 anni nella Provincia di Trento (previsto per italiani e stranieri) per un assegno di cura eccedente le prestazioni essenziali, ove si osserva che non si può in alcun modo presumere “che lo stato di bisogno di chi risieda (seppur regolarmente) nella Provincia da meno di tre anni sia minore rispetto a chi vi risieda da più anni (sentenze n. 133, n. 4 e n. 2 del 2013).Tale previsione realizza dunque una discriminazione, che contrasta con la funzione e la ratio normativa stessa, in violazione del limite di ragionevolezza imposto anche dal rispetto del principio di uguaglianza

Alla luce di quanto asserito finora, si chiede alla S.V. un incontro al fine di valutare possibili azioni volte a rendere l’accesso al Reddito di Cittadinanza scevro da alcuna traccia discriminatoria.

Certi di un riscontro, si porgono cordiali saluti.

Caserta, 20/01/2021

Per contatti:

Dott. Vincenzo Fiano: 3351557163 – fiano.vincenzo@gmail.com

Dott. Alessio Malinconico: 3408627619 – ya_basta@hotmail.it

CAMPANIA SOLIDALE:

Centro Sociale Ex Canapificio – Caserta / APP – Avellino prende parte / Ass.ne Asilo 31 – Benevento / CSV Centro Servizi Volontariato di Napoli / Movimento Migranti e Rifugiati di Napoli / Ass.ne Ya Basta – Scisciano / Nova Koinè – Marigliano / Caritas Diocesana di Caserta / Ass.ne Melagrana – S. Felice a Cancello / Parrocchia di Marigliano (NA) / Ass.ne Rinascita – Pomigliano d’Arco / Città aperta – Pomigliano / Casa del Popolo – Torre del Greco / Rete di mutualismo Soledad /Ass.ne A’ rezza – Volla (NA) / Rete cittadinanza e comunità della Terra dei Fuochi / Città Visibile – Ora di Atella / Missionari Comboniani – Castel Volturno / Ass.ne Black and White – Castel Volturno / Laboratorio 1000 Piani Caserta / Comitato per Villa Giaquinto – Caserta / Circolo ARCI – Caserta / Ufficio Migrantes – Caserta / Officina femminista – Orta di Atella / Parrocchia San Pietro in Cattedra – Caserta /Parrocchia di San Rufo – Caserta / Parrocchia S. Lorenzo Martire – Caserta / Parrocchia Santa Maria Assunta – Caserta / Movimento Migranti e Rifugiati di Caserta / Comitato Città Viva – Caserta / Comitato Parco Aranci – Caserta / Lab. Artistico Kalifoo Ground – Caserta / Comitato Caserta città di Pace / USB Federazione del Sociale di Caserta / Neroenonsolo A.P.S. – Caserta / Cobas Scuola Napoli e Caserta

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