Prosegue l’odissea dei migranti, in marcia verso l’Europa attraverso la rotta balcanica. Non c’è pace per le migliaia di donne, uomini e bambini che provano ad avanzare tra i confini di Bosnia e Croazia. Le immagini che ritraevano queste lunghe file di persone in mezzo alla neve, hanno fatto rapidamente il giro del mondo, tanto da interessare anche i vertici europei, i quali hanno definito l’evento “catastrofe umanitaria”. Certo, peccato però che tutto questo stia avvenendo alle porte dell’Unione Europea, e senza che le autorità internazionali muovano un dito, in soccorso di circa tremila disperati in fuga. Più che opportuno quindi, soffermarsi su un dato rilevante: la Croazia fa parte dell’UE, ma è curioso, come le forze dell’ordine di uno stato che abbia faticato per adeguarsi agli standard richiesti per l’ingresso nell’Unione, non si astengano dall’adottare pratiche inumane e degradanti, ai danni dei migranti.
Non solo freddo e neve quindi. Ma è tutta la situazione a mostrarsi complessa. I migranti, provenienti da Afghanistan, Pakistan e Siria, prevalentemente, sono esposti al gelido inverno bosniaco, vagando tra boschi e campagne e riposando in ricoveri di fortuna, con temperature che facilmente calano sotto lo zero. Ciò che ha dato vita a questo scenario è stato l’incendio del campo di Lipa, località bosniaca, sita a pochi chilometri dal confine croato, in cui erano “ospitati” mille degli attuali tremila profughi. Il campo è stato praticamente raso al suolo dal divampare delle fiamme. Dalle prime ricostruzioni, sembra siano stati gli stessi migranti ad appiccare il fuoco, appena è stata comunicata loro la chiusura del campo. I mille in questione, si sono poi uniti agli altri duemila migranti della rotta balcanica: un’orda immane che vaga per la zona, tentando invano di passare la frontiera con la Croazia e proseguire verso i paesi dell’Europa Occidentale.
Tutto questo avrebbe dovuto accendere nuovamente i riflettori, su quella che è una catastrofe umanitaria, senza precedenti, ma soprattutto senza fine. Non esiste, infatti, una stima precisa di quanti siano, oltre ai tremila succitati, i migranti della rotta balcanica; stime dell’ Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) parlano di circa 8.000 persone a ridosso dei due confini. Tra Bosnia e Croazia, la temperatura in inverno raggiunge e supera facilmente i -10°; molti migranti non dispongono nemmeno delle scarpe per proseguire nella gelida neve. Le ONG forniscono coperte, acqua, cibo, ma tutto questo potrebbe non bastare. Laddove gli aiuti umanitari non arrivano, i migranti bevono la neve e si arrangiano come possono. Al confine, la polizia croata li aspetta e li respinge a suon di manganellate feroci. I migranti tornano indietro feriti, oltre che provati dal freddo e dagli stenti. I migranti hanno subito e continuano a subire, respingimenti continui a suon di torture, e violazioni da parte delle forze dell’ordine croate ed, a questo punto, lo spiraglio di speranza si fa via via più sottile.
Tutto questo accade proprio lì, alle porte dell’Europa, con l’opinione pubblica e le istituzioni europee, voltate sistematicamente dall’altra parte. In questo scenario disumano, l’Unione Europea dimostra ancora una volta che quanto c’è una problematica da risolvere, non esiste unione che tenga, ed ogni stato cura il proprio orticello. Ed è proprio quello che sta accadendo lungo la rotta balcanica. Tra questi migranti ce ne sono tanti vittime dei continui respingimenti, sballottati da un paese all’altro, in cerca solo di una vita migliore. L’Italia le chiama “riammissioni” e li rimanda in Slovenia; la Slovenia sta costruendo muri alla frontiera ed ai paesi balcanici rimane il lavoro di macelleria: respingimenti e torture, senza alcuna distinzione.
Alla Bosnia poi, tutto il peso della situazione: il piccolo stato balcanico deve far fronte alla presenza di altri 11.000 migranti già sistemati, seppur precariamente nel paese, con il malcontento crescente di sindaci e popolazione. Anche su questo aspetto, Bosnia ed UE danno vita ad uno squallido scarica-barile che poco giova alla condizione dei migranti: la Bosnia accusa Bruxelles di non aver ricevuto fondi per fronteggiare l’emergenza, mentre da Bruxelles rispondono chiedendo che fine avessero fatto i 90 milioni che l’UE ha elargito per tale causa. Sembra comunque che i fondi siano stati investiti nelle dogane e nel rafforzamento dei controlli, non di certo, a migliorare le condizioni di chi vaga nella neve.
Insomma, i migranti della rotta balcanica devono districarsi tra il freddo, la neve e la fame, ma anche tra i battibecchi istituzionali e le realtà di dubbia affidabilità che gestirebbero gli appalti per l’accoglienza in Bosnia; più ombre che luci, su una vicenda di speculazione sulla pelle di chi soffre. C’è una Bosnia che tenta di entrare nell’Unione, ma con una popolazione poco disposta a collaborare, vista anche l’indifferenza dell’UE. Le soluzioni ipotizzate da Sarajevo poi, sono del tutto inadeguate: ricostruire il campo di Lipa, in fretta e furia, con delle tende allestite dall’esercito. Un provvedimento insufficiente, laddove mancano cibo, acqua, elettricità e riscaldamento. Ci sono alcuni paesi europei, tra cui l’Italia, che predispongono respingimenti sommari ai confini, in violazione di tutte le convenzioni umanitarie e di qualsivoglia diritto umano. Tutto questo, si configura come aperta responsabilità dei paesi europei, nettamente complici dello scempio.
Perché questa indifferenza? forse perché i Balcani non sono una rotta “mainstream”? O forse perché lungo quella rotta non si contano gli stessi morti della rotta mediterranea? Sta di fatto che l’Unione non può soprassedere sui comportamenti dei poliziotti di confine. Non può più essere tollerata la violenza dei poliziotti croati che picchiano, torturano e persino derubano i migranti, prima di respingerli in Bosnia. Ciò che appare innegabile è che l’UE ha nella sua indifferenza, una massiccia dose di colpe, in questo come in altri frangenti simili. Infatti, proprio come accadde durante la crisi del 2015, gli stati trovano più conveniente lasciare tutto il carico agli stati maggiormente esposti. Se nel 2015 l’Europa si mostrò refrattaria al dialogo, lasciando ad Italia e Grecia il discorso dell’accoglienza dei migranti, adesso si adopera lo stesso criterio con la Bosnia. L’emergenza quindi, è lontana dalla risoluzione. Ciò che serve a questi migranti è un rifugio nell’immediato. Nel lungo termine invece, c’è bisogno di una politica seria, volta all’accoglienza ed alla solidarietà, tramite corridoi umanitari e maglie più elastiche per l’ingresso in Europa.