La Turchia finanzia il conflitto, per la sete di potere del suo dittatore Erdogan: dopo lo sterminio dei kurdi, ora continua la persecuzione degli armeni.
C’è una pandemia in atto che contagia donne e uomini sul pianeta e miete vittime, senza distinzione di ceto, razza e religione. Nel mondo continuano guerre e ingiustizie verso le minoranze ad opera dei nuovi e vecchi sultani e/o tiranni: nulla ferma la sete di potere e di delirio di potenza ai danni delle parti fragili del nostro pianeta, sventolando vecchi diritti di proprietà o nuove ragioni di sicurezza e lotta al “terrorista” di turno.

A Monaco nelle scorse settimane si è svolto, come in altre città in Europa e non solo, un sit-in per chiedere di fermare il massacro della popolazione armena nella Repubblica di Artsakh.
Ed è proprio un massacro quello che sta accadendo in una piccola regione del Medio-Oriente, il Nagorno-Karabakh (rinominato “Repubblica di Artsakh” nel 2017), regione prossima al confine tra Armenia e Azerbaijan, che fa parte dell’Azerbaijan ma con una popolazione a maggioranza (oggi quasi esclusivamente) armena.
La Turchia è il principale signore della guerra con la scelta di Erdogan di armare e spingere l’Azerbaijan ad una ripresa delle ostilità per rivendicare il suo “diritto” sulla regione del Nagorno-Karabakh, che però già all’epoca del collasso dell’Unione Sovietica, era un “oblast” (ovvero, regione autonoma della Repubblica Sovietica dell’Azerbaijan) e che votarono prima per l’annessione all’Armenia, poi si proclamarono, nel gennaio del 1992, una repubblica indipendente.
Le mire espansionistiche della Turchia sono evidenti, oramai, a tutti: dalla Libia alla Siria, dalla guerra senza quartiere ai kurdi di Ocalan (arrivando a minacciare ed invadere la regione del Rojiava) spesso ricorrendo a milizie ausiliarie del dissolto Califfato Daesh; si, proprio quell’ISIS che i combattenti kurdi hanno sconfitto anche per conto dell’occidente assente e volutamente miope.

Il silenzio dell’Europa e dell’Italia è gravissimo e colpevole: l’Azerbaijan è il primo fornitore di petrolio dell’Italia sin dal 2013. L’interscambio bilaterale tra Italia e Azerbaijan è in costante crescita negli ultimi anni e ha raggiunto i 5,8 miliardi di euro nel 2018, confermando il ruolo dell’Italia di primo partner commerciale del Paese. (fonte: Il Sole 24 Ore – 21.02.2020)
La Russia nello scenario fa da contraltare, sostenendo le ragioni dell’Armenia e cercare di scongiurare una nuova persecuzione verso la popolazione armena.
È dal 1992 che si combatte in questa area con alterne fortune ora per l’una, ora per l’altra parte dei contendenti: mai perà per una popolazione oramai stanca della guerra e delle migliaia di morti che essa ha provocato. Ed oggi con questa inquietante presenza di mercenari siriani ai confini dell’Artsakh e il coinvolgimento della Turchia nel conflitto aggrava ulteriormente la situazione, con l’obiettivo non celato di completare il massacro degli armeni cominciato 105 anni fa.
Vanno immediatamente fermati i combattimenti e deve essere fermata la fame di potere del sultano di Istanbul, che nella sua Turchia ha ormai cancellato ogni parvenza di legalità e di libertà di espressione e di dissenso politico: le carcere turche sono piene di dissidenti del regime e di kurdi che lottano per il diritto alla alla propria identità di popolo.
È difficile in questo conflitto scegliere dove collocarsi, se non dalla parte delle vittime che questa guerra miete. Ma può essere utile sapere che secondo l’Indice della libertà di stampa 2020, l’Armenia si posiziona al 61esimo posto nella classifica, l’Azerbaigian al 168esimo. Secondo il Democracy Index, che misura lo stato della democrazia in 167 paesi, l’Armenia è all’86esimo posto, invece l’Azerbaigian al 146esimo. Non va, comunque, dimenticato che giornalisti, artisti e politici che hanno visitato l’Artsakh sono, poi, stati inseriti in una lista nera del governo azero e considerati personae non gratae.
