Sono le parole d’ordine che in questi ultimi giorni si levano in ogni parte del pianeta. Un grido di dolore lanciato da George Floyd, nero americano, ucciso per soffocamento da un poliziotto bianco durante un controllo. Per otto lunghissimi minuti (un video ne testimonia la brutalità e le grida di aiuto) si consuma l’ennesima morte che testimonia la brutalità della polizia verso gli afroamericani, i latinoamericani e tutti coloro che rappresentano la parte non bianca della “nostra bandiera di libertà”: quel modello a stelle e strisce al quale da sempre si guarda come esempio, perché da sempre, nell’ultimo secolo in particolare, è stato il modello ispiratore delle tendenze culturali e del mito americano che ha permeato ed intriso il mondo occidentale.
In un paese dove la vendita di armi rappresenta il vanto del proprio diritto a difendersi dal nemico, non importa chi esso sia (nero, arabo, asiatico, mussulmano, omosessuale, diverso per ciò che dice o ciò in cui crede) importante che sia un bersaglio. Come bersagli sono stati nella storia del paese land of opportnity e del self made man tutti coloro che non impersonificavano questi ideali: uno per tutti il popolo dei nativi d’America, gli indiani di cui abbiamo sentito i racconti, che sono stati sterminati per far avanzare il mito americano.
Il razzismo è il mezzo attraverso il quale una parte emargina, esclude fino ad eliminare un’altra parte, minoritaria e povera di mezzi e di risorse, che quando prova a reagire in difesa di diritti di cittadinanza e di giustizia, allora diventa scontro per il potere, e le armi del potere allora mietono vittime con la garanzia spesso di impunità e/o dell’essere dalla parte del “giusto”: oggi, negli USA, a garanzia di questa visione è proprio il suo presidente Trump con la sua politica dell’ordine e della disciplina e ….in culo tutto il resto.
Dal 2013 al 2019, in sette anni, la polizia americana ha ucciso 7.663 persone, ovvero in media 1.100 l’anno e circa 0,34 ogni 100mila abitanti (dati del Washington Post, riportati dal Sole 24ore del 6giugno scorso). Sono questi numeri che non possono essere scambiati per incidente o tragica fatalità. Essi mostrano una volontà ben precisa che appare come un non scritto, ma una prassi consolidata che se vedi un afroamericano, un latinoamericano, un meticcio, uno qualsiasi del meltin pot delle aree urbane delle città e delle periferie, prima spari e poi chiedi chi è! È con questa logica che il rischio per un afroamericano di essere ucciso dalla polizia è di 3 volte superiore al rischio che corre un bianco; questo dato deve ancora fare i conti col fatto che la popolazione afroamericana è solo il 24% della popolazione del paese.
Anche altri fattori incidono in questa logica che vuole il white power essere così arrogante e violento. Infatti, se si considera la crescente crisi economica, la perdita di posti di lavoro, in particolare nella tradizionale industria manifatturiera, sempre più tecnologizzata e robotizzata, capace di funzionare con poca forza lavoro, ma altamente specializzata; se si considera la scarsa attenzione (quindi, fondi e risorse) per la scuola pubblica, con conseguente scarsa valutazione nella scelta degli organici, rispetto al personale formatosi nelle scuole private; se si pensa alla precarietà dell’esistenza in quartieri ghetto, dove violenza e disagio esistenziale sono la norma quotidiana, allora si comprende benissimo di quanto quella forbice sociale ed economica tra agiati e disagiati, vede sempre più ammassati da un lato i gruppi minoritari, come gli afroamericani, e dall’altra sempre più arroccati alla difesa dei propri privilegi, le aree conservatrici e i nuovi razzisti del potere bianco.
Contro tutto ciò, e per ribadire il diritto alla dignità umana, questa ultima settimana ha visto manifestare nelle piazze milioni di persone in tutto il mondo, spinte dal movimento antirazzista “Black Lives Matter”, nato negli USA, contro ogni forma di violenza e di razzismo.
Moltissime le piazze anche in Italia, nonostante le misure ancora rigorose del lock down si sono riempite di persone per dire fermamente NO al RAZZISMO.
È stato un sentire spontaneo, ma anche la voglia di riprendere una parola che la destra aveva sventolato con le sue manifestazioni in occasione del 2 giugno (festa della Repubblica) portando in piazza i fascisti di Casa Pound ai quali si sono unite, nei giorni seguenti al Circo Massimo di Roma, le tifoserie ultras di moltissime squadre di calcio, in prima fila le curve della Lazio: una trama che da tempo si sta tessendo e che vede sempre più organizzati le formazioni fasciste e razziste dell’arcipelago della destra italiana in un’alleanza con le tifoserie di diverse squadre di calcio.
È contro questo pericolo che bisogna vigilare, per la difesa dei diritti per tutti e la giustizia per ogni essere umano su questo pianeta, per non dover mai più dire non posso respirare.