Basta genocidio palestinese. Basta guerre. Basta silenzio.
Non ci avete tolto la parola, ma solo ricordato quanto essa valga.
Riceviamo e pubblichiamo: dalle studentesse e dagli studenti delle classi 4E, 2A, 3A, 5A, 1D, 4D, 1E, 3E, 5G, 3H, 3L del Liceo Scientifico “A. Diaz” di Caserta.
“Spegnete il fuoco, non la coscienza.”
Era questa la frase presente sullo striscione che volevamo esporre nella nostra scuola. Una frase semplice, civile, umana. Eppure, è stata rifiutata in tutte le sue forme.
Siamo studenti e studentesse del Liceo A. Diaz di Caserta e scriviamo questa lettera per raccontare, per dare voce a ciò che si è tentato di mettere a tacere.
Tutto è partito dalla volontà della classe 4E di esprimere solidarietà nei confronti della popolazione civile palestinese, colpita duramente da un conflitto che ha già provocato, secondo i dati del Ministero della Sanità di Gaza, oltre 54.000 vittime e 123.000 feriti (numero che si stima possa essere notevolmente più elevato). Un’idea ritenuta pienamente conforme a ciò che la scuola dovrebbe essere: un luogo non solo di formazione culturale, ma anche di formazione personale, volto all’acquisizione di spirito critico e solidarietà verso i più deboli.
La prima proposta è stata quella di esporre la bandiera palestinese dalla finestra dell’aula della 4E, come gesto simbolico. È stato detto che non era possibile, in quanto si trattava di una “bandiera straniera in un edificio pubblico”. Seppur con grande dispiacere, è stato accettato. Si trattava di una regola amministrativa, e nessuno era intenzionato a violarla.
Pertanto, informatici approfonditamente sulle regole vigenti nel nostro istituto, sullo Statuto delle studentesse e degli studenti del 1998 che esso adotta, e sui principi della Costituzione Italiana, abbiamo avanzato un’ulteriore proposta: uno striscione bianco, con la frase “Spegnete il fuoco, non la coscienza”, accompagnata dai colori della bandiera palestinese, ma senza alcun simbolo ufficiale né disposizione in forma di bandiera. Anche questa proposta è stata respinta, stavolta “per via dei colori”, colori che non appartengono a nessuno e che sono presenti in decine di bandiere differenti. Non è stato contestato ciò che abbiamo detto, ma ciò che altri avrebbero potuto leggerci.
Ma la diplomazia è ciò che ci appartiene. Nonostante fossimo pienamente consapevoli che la nostra proposta non violasse alcuna norma, abbiamo, ancora una volta, rinunciato a qualcosa: i colori, proponendo una scritta monocromatica rossa. Niente da fare. Stavolta il problema era la frase. “Spegnete il fuoco, non la coscienza” è stata giudicata invettiva, polemica, troppo schierata. Il motivo? Sebbene, a questo punto, il manifesto non presentasse alcun riferimento esplicito alla questione palestinese, secondo la scuola la frase avrebbe comunque richiamato un caso troppo specifico, non abbastanza “generale” e “universale”. Ci è stato detto che l’unica frase accettabile sarebbe stata: “Diciamo sì alla pace”. Ma la pace senza coraggio, senza voce, senza verità, è solo silenzio comodo. Parrebbe che parlare esclusivamente del conflitto in Palestina significhi essere discriminatori verso gli ulteriori 55 conflitti in corso nel mondo.
Ma possiamo davvero accettare che ogni forma di vicinanza sia neutralizzata in nome di un’equidistanza assoluta? Il fatto che vi siano numerosi conflitti in corso non è un motivo per tacere su uno di essi, ma una ragione in più per parlarne. Anzi, amalgamare e uniformare tutti i conflitti sotto il vessillo dell’astratta “pace generica” ne estirpa la specifica importanza e devia da quello che dovrebbe essere il ruolo reale delle istituzioni nella formazione delle giovani generazioni: portare consapevolezza e luce su queste situazioni. Inoltre, sicuramente non è negare visibilità a un dolore che onora l’altro. Non è rimasto nulla, nemmeno la parola. Ciò che ci è stato impedito non è un atto politico, non è propaganda: è il diritto, ma soprattutto il dovere, di esprimere coscienza civile.
E noi non ci stiamo.
Non accettiamo che una scuola spenga le coscienze per paura del simbolico.
Non accettiamo che si censuri una frase che chiede solo umanità.
Per questo scriviamo. Perché se non possiamo esporre uno striscione, allora esporremo la verità. Se non possiamo far parlare un telo, faremo parlare le parole.
Non vogliamo polemiche. Non cerchiamo scontro. Ma vogliamo che si sappia: in Italia, nel 2025, in una scuola pubblica, è vietato dire “Spegnete il fuoco, non la coscienza.”
E allora lo diciamo qui, e lo diremo altrove. E continueremo a dirlo, fino a quando la coscienza non sarà più un crimine.
Siamo consapevoli che tale situazione non dipenda esclusivamente da singole scelte interne. La difficoltà ad accettare anche un messaggio neutro e umanitario nasce da un clima nazionale in cui la questione palestinese viene costantemente minimizzata e distorta. In un contesto in cui il dibattito è condizionato dall’alto, è difficile per chiunque, anche all’interno delle scuole, scegliere di esporsi. Ma proprio per questo è necessario che siano gli studenti a difendere il diritto alla coscienza e alla parola.
Se anche le scuole iniziano a temere le parole, allora è il silenzio a divenire sistema.
Ma noi non siamo qui per obbedire al silenzio.
Siamo qui per ricordare che la coscienza non si spegne.
Non ci avete tolto la parola, ma solo ricordato quanto essa valga.
Questa non è solo una lettera. È un appello condiviso. È il risultato di un dialogo tra coscienze vive.
A firmarla siamo noi, studenti e studentesse delle classi 4E, 2A, 3A, 5A, 1D, 4D, 1E, 3E, 5G, 3H, 3L.







