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Non siamo più liberi: siamo solo più soli

Redazione di Redazione
8 Maggio 2025
in Culture resistenti, L'altro mondo possibile, Tempi Moderni
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educazione alla competizione. Siamo liberi di competere
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Cosa dicono i sociologi sulla solitudine e l’esperienza umana individualista nella società moderna capitalista; come disimparare l’’individualismo giova a tutti fuorché a chi vuole approfittarsi di noi.

A cura di Gaya Guarini

“It takes a village” è un modo di dire inglese che deriva dal proverbio “it takes a village to raise a child”, ossia: ci vuole un villaggio per crescere un bambino. Ci vuole un villaggio per fare tante cose in realtà, ma forse nel sistema economico-sociale capitalista ce lo dimentichiamo.

In una società dove niente è di nessuno, che il più delle volte ci aliena da ciò che produciamo e dagli altri, è facile dimenticarsi che tutto questo individualismo ci allontana da ciò che ha permesso all’essere umano di progredire ed essere sereno.

Indipendenza o collaborazione?

Su un aspetto evoluzionistico, non abbiamo più bisogno di fare affidamento sulla comunità per sopravvivere. Ma è un bene? La cultura è diventata sempre più incentrata sulla competitività e l’autosufficienza, studi hanno invece dimostrato come l’essere umano sia unico nella propensione alla collaborazione e all’aiuto reciproco sin dalla tenera età. Come diceva il proverbio inglese, per milioni di anni si è usata la collaborazione e l’aiuto di un intero villaggio per sostentarsi e allevare bambini, siamo esseri nati per la collettività e la compagnia, eppure ci hanno convinto che chi ce la fa veramente è perché è stato il più indipendente e il più competitivo tra tutti.

Cosa dice la sociologia a riguardo:

Di questa triste piega dell’essere umano, se ne nutre solo il capitalismo. Il sociologo Zygmunt Bauman (in Liquid Modernity) descrive come l’individualismo contemporaneo generi insicurezza, isolamento e frammentazione sociale. Le reti comunitarie tradizionali si sono dissolte e molte persone si ritrovano in una condizione di “libertà solitaria”.

Chi non condivide, acquista; chi è isolato e insicuro, diventa soggetto facile e propenso ad acquisti non necessari per rivendicare qualsiasi tipo di status; e un individuo senza comunità è un individuo senza nessuno che lotti per lui, se diventiamo tutti atomizzati nessuno combatte per i diritti collettivi.

Le conseguenze della solitudine e della frammentazione

Durkheim in Le Suicide (1897) ha analizzato i tassi di suicidio tra protestanti e cattolici, ed è emerso che i protestanti si suicidavano più dei cattolici, i celibi più dei coniugati e nelle società moderne di più che in quelle tradizionali. Ma perché? Il suicidio secondo Durkheim non è solo un atto individuale ma è un fenomeno sociale: i cattolici hanno maggiore coesione sociale a differenza dei protestanti, e nelle società moderne vige più individualismo.

A sostegno dell’ultimo esempio, riguardo le società moderne, il sociologo Simmel nel saggio Le metropoli e la vita dello spirito (1903) introduce la figura dell’’uomo “blasé”, l’essere umano sottoposto a stimoli continui come quello della vita delle metropoli tra rumori, pubblicità, luci, caos, come difesa psichica non gli rimane che distaccarsi e isolarsi appiattendosi emotivamente. Si abbassa la soglia dell’empatia e il legame comunitario si frammenta sempre più perché diventa solo un numero.

Ora notiamo due cose: sono studi molto attuali con la differenza che sono stati eseguiti a fine del diciannovesimo secolo o inizio del ventesimo. Dal momento che l’essere umano non sembra aver cambiato direzione, i padroni hanno continuato ad arricchirsi, le città sono diventate ancora più caotiche e piene, e l’essere umano è ancora più solo. Immaginiamo in che condizioni riversiamo se più di cento anni fa erano fenomeni già rilevati.

Non siamo stati e mai saremo isole

Tutto ciò per dimostrare che la solitudine non ci rende più liberi e indipendenti, ma ci rende più soli e “prede”, rende l’uomo più triste e lo ammala. Cadere nell’equivoco che non abbiamo bisogno di nessuno per stare bene significa rinnegare studi evoluzionistici, biologici e sociologici. Insomma, sembra abbastanza per affermare che è nella nostra natura aiutarci e collaborare.

In conclusione, come John Donne scrisse:

“No man is an island entire of itself; every man is a piece of the continent, a part of the main;

[…] never send to know for whom the bell tolls; it tolls for thee.”

“Nessun uomo è un’isola, completo in sé stesso; ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto;

[…] non chiedere mai per chi suona la campana: essa suona per te. ”

Tags: capitalismoculture resistentiImpronte socialiindividualismosolitudinetempi moderni
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