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Ricordando il Porrajmos: una cultura della sopravvivenza

Redazione di Redazione
2 Agosto 2024
in Culture resistenti, Impronte solidali, L'altro mondo possibile
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Ricordando il Porrajmos: una cultura della sopravvivenza
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Il 2 agosto si celebra la Giornata della Memoria per il Porrajmos, il massacro di migliaia di rom e sinti ad opera dei nazisti.

Riceviamo e pubblichiamo, articolo a cura di  Maria Consuelo Abdel Hafiz Mohamed Ramadan del Movimento Kethane

I rom sono la minoranza etnica più numerosa in Europa, non riconosciuta in Italia. Secondo il Consiglio d’Europa,  la loro presenza varia dalle 110 000  alle 170 000 unità, di cui circa 70 000 con cittadinanza italiana, quindi circa lo 0,25% della popolazione italiana. La Commissione Europea attraverso diverse iniziative inerenti al nuovo quadro strategico per l’uguaglianza, l’inclusione e la partecipazione dei  popoli romanì nei paesi dell’UE e in preparazione dell’iniziativa 2020-2030, si è impegnata a tutelarne i diritti e a prevenirne le discriminazioni.

Nonostante questo, nonostante le diverse iniziative progettuali,  i rom continuano a  subire discriminazioni, razzismo e a vivere in condizioni di estrema fragilità,  nell’insicurezza del proprio status giuridico, spesso in emergenza abitativa ed emarginazione lavorativa. Della cultura romaní si sa ben poco, è una cultura di persone abituate a lottare incessantemente per la sopravvivenza quotidiana. E’ una cultura costituita da gruppi e sottogruppi, diversi tra loro che si riconoscono in un’identità comune, in un’unica appartenenza e che trovandosi in condizioni di vita estreme, adottano diverse strategie di sopravvivenza .

Non si tratta semplicemente di una sopravvivenza nuda e cruda, legata al soddisfacimento dei bisogni primari, come non morire di freddo, patire le fame ed avere un tetto sulla testa, ma si tratta di poter vivere pienamente la propria cultura, la  famiglia, la comunità,  i valori,  nonostante le  condizioni di vita estreme, ed è questa la cosa eccezionale dei rom e dei sinti.

Il Porrajmos

Il 2 agosto è la giornata di commemorazione del Porrajmos, che  in lingua romane significa  letteralmente “grande divoramento”. Il Porrajmos è   il  genocidio perpetrato nei confronti di rom e sinti durante la Seconda Guerra Mondiale, in cui secondo le stime più recenti furono uccisi più di un milione di persone. La notte del 2 agosto del 1944 ad Auschwitz-Birkenau, vennero sterminati nelle camere a gas 3.000 rom e sinti, bambini, donne, uomini.  Gli ebrei testimoni oculari raccontano,  che capirono allora cosa fosse lo sterminio: “il vuoto improvviso nel settore rom e il fumo incessante delle ciminiere”.

Nel campo di concentramento di Auschwitz il settore riservato agli zingari, chiamato  B2E era accanto al laboratorio di Josef  Rudolf Mengele e il loro numero di matricola era preceduto dalla Z di zingari. Josef Rudolf  Mengele medico, militare e criminale, soprannominato “angelo della morte”, era noto per i suoi esperimenti medici crudeli,  in cui usava i deportati come cavie umane, soprattutto  bambini ed in particolare i gemelli. Gran parte di questi bambini che furono sue vittime erano appartenenti al popolo romaní.

“Interesse del dottore erano soprattutto i gemelli zingari, li misurava attentamente ed iniettava nei corpi sostanze sperimentali per rendere i loro occhi azzurri. Una superstite raccontò persino di due gemelli cuciti assieme dal dorso per studiarne le reazioni, alla fine dell’esperimento i bambini furono ridati ai genitori reclusi nel campo, i quali furono costretti ad uccidere i propri figli evitando dunque ulteriori sofferenze. Ad Auschwitz alcuni rom e sinti vennero impiegati come musicisti, le orchestre zingare accompagnavano i deportati a lavoro o nelle camere a gas. La loro musica allegra serviva anche a rendere meno dura la prigionia ai deportati, quindi suonavano e cantavano risvegliando in tutti quel briciolo di umanità che ancora resisteva”.  (Petruzzelli 2008)

Porrajmos: un Giorno della Memoria che aspetta il riconoscimento

In Italia la mancanza del riconoscimento del Porrajmos,  continua a silenziare la storia di un popolo che nonostante tutto continua a resistere e a sopravvivere,  questo è strettamente  collegato al modo in cui lo stato italiano si pose nei confronti dei rom e dei sinti fin dall’inizio. Il genocidio dei rom e dei sinti continua a rimanere sconosciuto a molti , questo genera la mancanza de l rispetto, della dignità e del riconoscimento della storia di popolazioni marginali e marginalizzate come quelle dei rom e dei sinti.  

E’ risaputo di come e di quanto  i rom e sinti siano raccontati o come criminali o come vittime, non è stato ancora compiuto quel passo in avanti che porta alla consapevolezza e  restituzione di una storia forte e di resistenza, ad  un popolo che non ha mai dichiarato guerra a nessuno.

La paura del diverso

Citando il sociologo e filosofo polacco Bauman (2010)  nella sua opera “Modernità e Olocausto”,  ha spiegato come l’odio  nasca dalla paura. Quindi si odia perchè si ha paura e si ha paura a causa dell’odio che avvelena la coabitazione sul pianeta che condividiamo. Il sociologo insiste sulla riappropriazione della morale individuale, affinchè gli orrori del ventesimo secolo non si ripetano più, proprio perchè le paure contemporanee, come quelle di ieri, sono specifiche, disancorate, esclusive e difficili da identificare e localizzare esattamente.

Si ha paura senza sapere da dove venga la paura, ma in gran parte la paura è generata dalla globalizzazione che ha segnato la divisione degli uomini in classi, dal punto di vista economico e culturale.  Ogni Paese è virtualmente bacino di emigrazione e meta di migrazione, occorre ridefinire il rapporto tra identità e cittadinanza, individuo e luogo fisico, vicinato e appartenenza. La migrazione universale porta in primo piano e per la prima volta nella storia,  l’arte di convivere con la differenza. Chi viene stigmatizzato subisce un doloroso colpo al rispetto di sé che porta a provare sensi di colpa e a vivere situazioni umilianti. Il sociologo Bauman evidenzia la necessità di promuovere una cultura del dialogo in ogni modo possibile, di ricostruire il tessuto di una società e di considerare gli altri, appartenenti a culture diverse persone degne di essere ascoltate.

La comunità  rom sono basate sui legami familiari, valore culturale che non viene per niente  considerato dalle istituzioni. L’immagine dei rom che ci viene proposta è un’immagine stereotipata figlia di politiche razziste.  Quello che fa paura dei rom è la diversità dei valori, delle norme, l’essere profondamente anarchici, l’unicità di un modo di vivere in  una società sempre più omologata. Le informazioni diffuse dai media continuano ad essere distorte, parziali, ingigantite da una politica che non vuole trovare soluzioni concrete, che agisce attraverso azioni di controllo e di repressione.

Dall’altra parte l’approccio assistenzialista delle associazioni è quello di focalizzare la loro esistenza sull’assistenza alle persone, ma anche questo sistema è risultato fallimentare, perchè adesso  le persone delle comunità sono più consapevoli, indipendenti ed  istruite ed è evidente che fino ad ora si sia trattato di un puro  automatismo volto, a far rimanere le cose coì come sono.  Nessuno se ne occupa, ma le questioni delle comunità vengono ricordate e strumentalizzate soltanto  per meri scopi elettorali. Le comunità, sono vittime di un associazionismo assistenzialistico che per anni, piuttosto di consapevolizzare le persone e renderle per quanto possibile autonome e indipendenti attraverso delle opportunità, ha contribuito alla loro sottomissione, rassegnazione e annichilimento.

 Le comunità  continuano ad essere esposte a campagne di pregiudizio e di discriminazione, sostenute a loro volta dalle istituzioni e da una parte dei media. I giuristi italiani non hanno prestato la giusta importanza alla “questione zingara” e le istituzioni non hanno acquisito gli strumenti adeguati avvalendosi di informazioni  piuttosto superficiali . Intanto l’odio colpisce le comunità, coinvolgendo non soltanto la parte più povera, più visibile e marginale delle comunità, ma coinvolge indistintamente anche le comunità più integrate e meno esposte, a tal punto da costringere molti a nascondere la propria identità.

Il Movimento Kethane

In questi ultimi anni,  è cresciuta una generazione che sente la necessità di combattere l’odio che colpisce le nostre comunità, si è costituito il Movimento Kethane Rom e Sinti per l’Italia, formato principalmente da ragazzi e ragazze  Rom e Sinti, che hanno il desiderio di dare voce alla propria gente e che non vogliono essere il capro espiatorio di nessuno e  vogliono rivendicare il proprio posto nella società, con l’ambizione di migliorare la propria condizione attraverso il contributo positivo della propria cultura e consapevole che questa lotta non appartenga soltanto ai rom e ai sinti .

 Kethane ha come finalità la promozione della partecipazione sociale, politica, economica e la promozione della leadership Rom e Sinta, come strumenti di crescita personale e collettiva, di autodeterminazione, autorganizzazione, partecipazione civica, inclusione sociale, educazione e professionalizzazione. Intende promuovere il diritto alla sicurezza delle comunità Rom e Sinti, l’espressione della cultura e delle tradizioni Rom e Sinti, attraverso l’impegno civile, che favorisca le relazioni interculturali e, in applicazione della Costituzione italiana, l’affermazione dei diritti civili, contro ogni forma d’ignoranza, intolleranza, violenza, di censura e d’ingiustizia, per una piena coesione sociale.

Kethane persegue finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale: di educazione istruzione e formazione professionale; realizza ricerche scientifiche di particolare rilievo, attività artistiche e culturali, inclusi i progetti editoriali. Si occupa della promozione della cultura della legalità, della pace tra i popoli e della non violenza, compie opere di beneficenza, sostegno a distanza, cessione gratuita di alimenti o prodotti di cui la legge 19 agosto 2016, n.166, e successive modificazioni, o erogazione di denaro, di beni o servizi a sostegno di persone svantaggiate o di attività d’interesse generale.

Promuove: la tutela dei diritti umani, civili, sociali e politici, le pari opportunità e le iniziative di aiuto reciproco; si occupa della riqualificazione di beni pubblici inutilizzati o di beni confiscati alla criminalità organizzata. Kethane affronta le questioni che riguardano non soltanto Rom e Sinti, ma tutti i gruppi marginali, attraverso un approccio innovativo, il dialogo politico, il coinvolgimento di stakeholder, altre organizzazioni e associazioni, incontri istituzionali, creando alleanze per la legittimazione e lo sviluppo dell’inclusione.

Il sentimento che ci ha coinvolti fin dall’inizio è sicuramente quello della solidarietà, ma quello che spieghiamo alle comunità prima di tutto: è che Kethane non è un ente di beneficenza, ma un Movimento quindi una dinamica collettiva. Lo scopo di Kethane è l’autonomia delle comunità.  Le comunità, messe da parte sia geograficamente sia socialmente e politicamente, per troppo tempo hanno subito in maniera passiva la loro realtà difficile, colpevolizzandosi delle condizioni di povertà ed emarginazione in cui vivono.

 Il dialogo con le comunità si basa sulla trasparenza. Alle nostre call settimanali oltre a noi del core team partecipano attivisti, le comunità, i politici, la categoria dei giostrai la quale è stata seguita ascoltata e supportata da Kethane. Il coordinamento tra i team riguarda sempre l’accordo sulla metodologia da utilizzare per le nostre eventuali azioni e per la comunicazione da usare all’interno delle comunità, affinché tutte le comunità ricevano lo stesso messaggio e siano consapevoli allo stesso modo, per coinvolgerle e per avere un impatto più grande e tutti insieme.

Tags: Impronte socialiimpronte solidalimovimento kethaneromsinti
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