Dopo quattro anni e mezzo di silenzio, i tre paesi si riuniscono per discutere gli obiettivi comuni all’interno della regione dell’Asia Orientale. Purtroppo durante la discussione non c’è stata occasione (o volontà) di parlare della continua e sistematica violazione dei diritti umani nei confronti della popolazione Tibetana da parte delle forze cinesi.
Articolo a cura di Chiara Quaranta
Accordo trilaterale tra Cina, Giappone e Corea del Sud
Nelle giornate del 26 e 27 maggio si è tenuto il vertice trilaterale tra Giappone, Corea del Sud e Cina, l’ultimo era stato nel 2019. Durante questi anni di mancati incontri, non pochi attriti si sono presentati tra questi paesi. La situazione pandemica, l’invasione del territorio ucraino da parte della Russia e la conseguente guerra, i programmi nucleari Nord coreani che non accennano a rallentare, le delicate relazioni tra Taiwan e Pechino e anche il risentimento storico che c’è tra Corea del Sud e Giappone, hanno creato un clima sempre più teso.
Finalmente i tre stati più influenti dell’Asia Orientale si sono riuniti a Seoul per dialogare e promuovere una cooperazione regionale focalizzata su ambiti di interesse comune come la tutela delle reti di distribuzione, scambi culturali, attenzione verso cambiamenti climatici, aiuti per la gestione delle calamità naturali, collaborazione per affrontare l’invecchiamento della popolazione e la protezione del commercio. Alla luce del fatto che Tokyo e Seoul sono i maggiori partner commerciali della Cina, i tre paesi hanno dichiarato di dedicare maggiore impegno ai negoziati per un accordo trilaterale di libero scambio.
Un argomento che non è stato minimamente sfiorato è quello che riguarda la situazione del Tibet. In tante occasioni, soprattutto il Giappone, ha sottolineato la responsabilità del governo cinese di garantire il rispetto dei diritti umani della popolazione tibetana. La questione ha origini molto lontane.
Storia del Tibet e dei suoi rapporti con la Cina
La storia politica del Tibet è lunga e caratterizzata da complesse relazioni con le popolazioni vicine. Dal XIII secolo fino al 1912, anno in cui il Tibet si autodichiara indipendente, il cosiddetto “tetto del mondo” è passato più volte dalle mani dell’impero mongolo a quelle dell’impero cinese come protettorato, passando anche tra quelle dell’India britannica. Queste sono state le basi per la nascita della secolare rivendicazione della sovranità del Tibet da parte della Cina. La tanto auspicata indipendenza, dichiarata nel 1912, è durata qualche decennio e non sono mancate rivendicazioni da parte della neonata Repubblica di Cina. Due anni dopo la proclamazione della Repubblica Popolare Cinese (1949) da parte di Mao Zedong, alcuni territori tibetani sono stati rioccupati dall’esercito cinese.
Nel 1951 viene stipulato tra i delegati cinesi e quelli tibetani, un accordo detto “dei 17 punti”, secondo il quale Lhasa avrebbe riconosciuto la sovranità cinese e permesso la presenza dell’esercito cinese sul suo territorio. I rappresentanti tibetani hanno successivamente rinnegato questo accordo affermando che sarebbero stati costretti a firmare per mezzo di torture e soprusi. Nel 1959 la popolazione tibetana si ribella alla presenza cinese ma la rivolta viene repressa col sangue e il Dalai Lama è costretto alla fuga. Oggi il Tibet rimane un territorio soggetto alla sovranità cinese. L’espressione culturale dei suoi abitanti è soppressa e le violazioni dei diritti umani sono all’ordine del giorno.
Mancata occasione per parlare del Tibet
Questo summit sarebbe stato l’occasione perfetta per tracciare delle linee di tutela nei confronti delle popolazioni minoritarie che vivono sotto la “custodia” cinese. Soprattutto la popolazione tibetana che da troppo tempo ormai sopporta la continua soppressione delle proprie usanze, della propria lingua, religione e sistema politico.Nello specifico il Giappone ha perso un’importante occasione per inserire questo tema all’interno del dialogo. Tokyo ha in più occasioni ribadito che il governo di Pechino avrebbe dovuto fare qualcosa in più per tutelare i diritti umani delle popolazioni minoritarie.
Pechino continua a nascondersi dietro la firma del tanto discusso accordo del 17 punti e ribadisce che non c’è nessuna violazione di diritti all’interno della regione. Inoltre, accusa la comunità internazionale di non aver alcun diritto di entrare negli affari privati dello Stato cinese.
Le manifestazioni delle comunità tibetane nel mondo non mancano occasione di farsi sentire, infatti durante il tour europeo di Xi Jinping tante sono state le proteste che però sono state silenziate da gruppi della comunità cinese. Il 10 maggio, in occasione dell’incontro tra il presidente cinese e Macron tenutosi al Palazzo dell’Eliseo, il gruppo Students for a free Tibet ha manifestato chiedendo una riapertura del dialogo tra il Dalai Lama e il presidente Xi Jinping. Per quanto tempo ancora la comunità internazionale potrà chiudere gli occhi davanti a ciò che da troppi anni le forze cinesi stanno perpetrando ai danni di una popolazione che vorrebbe soltanto esercitare il proprio diritto di autodeterminazione?