Il 27 gennaio è il Giorno della Memoria, in cui si ricorda l’orrore dell’Olocausto scoperto dalle truppe sovietiche il 27 gennaio 1945. Una Memoria che si svuota del suo senso se non serve a impedire che gli errori del passato si ripetano.
Come si celebra la Memoria dell’Olocausto mentre è in corso un genocidio? Ecco la domanda a cui bisogna dare una risposta. Il 27 gennaio 1945, le truppe sovietiche entrarono ad Aushwitz mettendo in fuga i nazisti e scoprendo l’orrore dei lager. Ben presto le foto e i video di quello scempio contro l’umanità fecero il giro del mondo. Ci si interrogò sui confini della crudeltà umana e si posero le basi per la creazione di una Memoria, perchè quello scempio non si ripetesse mai più.
I passi avanti
Ma quelli che hanno dato vita alla Shoah erano altri tempi. Tempi in cui non esistevano convenzioni sui diritti umani, e lo stesso concetto di “diritti umani” era piuttosto labile e comunque, non trascritto in nessuna legge internazionale. Non esisteva l’ONU con tutti i suoi organi di settore, nè l’Unione Europea. La Seconda Guerra Mondiale si era conclusa con una marea di orrori: milioni di morti, bombe atomiche e appunto, i lager nazisti. Per questo tutti erano concordi nello stabilire qualcosa affinché tali orrori non si sarebbero più verificati. Niente più guerre, niente più campi di concentramento, niente più segregazione su base razziale, religiosa o politica.
Qualcosa è stato fatto: la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e la Carta Fondamentale dei Diritti dell’Uomo. La Convenzione di Ginevra sulla protezione di malati e soggetti deboli durante i conflitti e così via. Insomma, per un certo periodo tutti i paesi del mondo sembravano uniti in un’armonia mossa dal non ripetere gli errori del passato. Ma le speranze sono state disattese.
Contraddizioni e ipocrisia
Purtroppo però, quell’armonia era solo una maschera per certi paesi. Un velo ipocrita che nascondeva delle nefandezze che fanno pensare ad una totale indifferenza nei confronti del concetto di Memoria che avrebbe dovuto lasciare la Shoah. Ed è così che, mentre paesi come la Francia celebravano il 27 gennaio nelle piazze principali, non disdegnavano, negli anni ’60 di creare dei lager in Algeria per reprimere la rivolta anti-coloniale della popolazione. Ed è così che un paese come gli Stati Uniti adottavano trattamenti disumani contro i prigionieri talebani e iracheni nelle carceri di Guantanamo e Abu Ghraib, nemmeno troppi anni fa.
Come celebrare la Memoria dell’Olocausto con un genocidio in corso
La Memoria sarebbe dovuta servire a qualcosa. Historia magistra vitae, dicevano i latini: la storia è maestra di vita. E invece no. Forse la popolazione, l’opinione pubblica mondiale ha recepito il senso di questa memoria collettiva, ma le grandi potenze, gli stati e i media servili, ne hanno dimenticato l’importanza. L’assunto di 27 gennaio è: “affinchè non accada mai più”; e invece sta accadendo. Mentre i comuni, i ministri e i presidenti si apprestano a commemorare, è in atto un genocidio: proprio quello che non si sarebbe dovuto più ripetere. Il luogo è la Palestina dove dal 7 ottobre, sono state uccise oltre 25.000 persone per mano di Israele, paese dei discendenti dei sopravvissuti dell’Olocausto.
I morti sono 25.000 di cui quasi la metà erano bambini. Israele, in barba ad ogni normativa internazionale, ad ogni segnalazione e indifferente al totale isolamento in seno all’Assemblea Generale dell’ONU, bombarda a tappeto la Striscia di Gaza, colpisce ospedali, spara sulla folla, impedisce l’ingresso di aiuti umanitari. Questo è solo l’epilogo di una logica da Apartheid che Tel Aviv porta avanti a danno dei palestinesi da oltre 75 anni. Un periodo lunghissimo fatto di angherie, torture, deportazioni forzate e omicidi sommari.
Quello che sta avvenendo in Palestina è un genocidio, in tutto e per tutto. Ed è per questo che le cerimonie di questo 27 gennaio non dovrebbero essere “statiche”, ma dovrebbero tener conto dell’epoca in cui viviamo e riflettere se, quel messaggio impresso nella Memoria lo abbiamo recepito o meno. Purtroppo questo non avviene e molte celebrazioni si limitano a ricordare l’evento storico, riportare le testimonianze dei sopravvissuti, qualche frase di Primo Levi e poi tutti a casa. Il significato invece è diverso: dovremmo trarre insegnamento dall’orrore nazista e condannare in maniera unanime ogni genocidio, senza distinzioni.
Shoah e altri genocidi: non è una gara!
Durante questa celebrazione, giornalisti, associazioni e figure di spicco si affannano in una vera e propria gara, che potremmo definire “trova il genocidio più grave”. E si, perchè stando ad alcune dichiarazioni, è inutile che ci fomentiamo, la Shoah è il più grave genocidio della storia, basta. Come se fosse una gara, appunto. Una presa di posizione che arriva da realtà di spicco come l’ANPI o Enrico Mentana. Secondo loro non si possono fare paragoni: la Shoah è la Shoah, punto. Il resto sono dei genocidi di poca importanza, robetta da nulla, a quanto pare.
Ma si possono davvero classificare i genocidi? Si può davvero stilare una classifica dal più grave al meno grave? In realtà quando si tratta di vite umane è irrilevante il numero o la modalità di sterminio, conta il crimine che viene perpetrato e come fare per far sì che non si ripeta. Che l’Olocausto sia stato un genocidio non ci piove, ma snocciolare dati, statistiche ed elementi per quantificare cosa sia un genocidio e cosa no, è veramente uno spreco intellettivo. Però molti ci stanno provando: cercano di stabilire un numero di morti, a partire dal quale si può parlare di genocidio.
Non è una gara! Ogni crimine ha la sua importanza, ed è in funzione del significato di Memoria che dobbiamo paragonarli. Paragonare la Shoah a quanto avviene in queste ore a Gaza è possibile, e andrebbe fatto.
- Spesso si ricorda la Shoah come il più grave crimine contro l’umanità per un particolare elemento: la freddezza dei lager. Ciò che inorridisce è il calcolo rigido dei nazisti, la meccanicità con cui avvenivano le esecuzioni e le selezioni dei deportati. L’intero sistema dei lager sembrava interamente formato come una grande catena di produzione, scevra di qualsivoglia sentimento. A Gaza accade qualcosa di molto simile: la cosiddetta Striscia di Gaza è un territorio circoscritto recintato da alte mura. Le persone vivono in quello che è stato definito “il carcere a cielo aperto più grande del mondo”. I bombardamenti, gli spari e i massacri sono frutto di un calcolo freddo e disumano, che permette addirittura ad una agenzia immobiliare israeliana di pianificare villette vista mare sulle foto delle macerie.
- La disumanizzazione della vittima: prima dei lager, Hitler e i suoi hanno cominciato una sistematica campagna d’odio razziale, che finiva con lo stabilire che gli ebrei (ma non solo, anche altre minoranze), non erano esseri umani, erano dei mostri o degli animali. La propaganda fece sì che la vittima non venisse considerata degna delle caratteristiche che invece, si attribuiscono agli uomini. Israele sta facendo lo stesso con i palestinesi, è cronaca di questi giorni.
- La soluzione finale: stessa terminologia. Per i nazisti la soluzione finale erano appunto i lager; per Israele invece, l’eliminazione “in qualunque modo” dei palestinesi da Gaza e Cisgiordania.
- La privazione del senso di umanità: a Gaza come nei lager, i prigionieri si svegliano al mattino e non sanno se saranno vivi al termine della giornata. Non sanno se mangeranno, se berranno, se potranno abbracciare i loro cari.
Ecco perchè è stupido stabilire qual’è il genocidio vincente: tutti sono ugualmente devastanti e disumanizzanti. Ma in realtà, trovandoci a paragonare, dovremmo elencare anche i punti di differenza tra l’Olocausto e la Striscia di Gaza.
Un esempio: la comunicazione. Quando i nazisti costruirono i lager li chiamavano “campi di lavoro” o “campi di vacanza”, e buona parte dell’opinione pubblica scelse di credergli. Molti non ne sapevano nulla e comunque, nessun comune cittadino o giornalista poteva accedere a quei luoghi. Le nefandezze vennero scoperte solo dai sovietici quel 27 gennaio del 1945 e solo allora, si capì l’entità della devastazione. Quasi tutti ne erano allo scuro e anche chi sospettava, non aveva idea della quantità dell’orrore.
Oggi le cose sono diverse: esistono i social network, la tv, i satelliti. Per renderci conto dello scempio che Israele sta attuando a Gaza possiamo guardare sul nostro smartphone, dove quotidianamente, eroici giornalisti riprendono bombardamenti, fucilazioni, crimini di vario genere e momenti di dolore. La verità è sotto gli occhi di tutti e ce l’abbiamo letteralmente in tasca. Negare è impossibile (ma c’è chi ci prova). La grande differenza è che, per la prima volta stiamo assistendo a un genocidio in diretta. E ne siamo consapevoli.
Un’altra differenza, e questa è forse la più significativa: la presenza di un diritto umanitario. Al tempo della Shoah, non esistevano convenzioni che vietassero l’utilizzo di mezzi coercitivi, non esistevano corti di giustizia internazionali e così via. Oggi tutto questo c’è, ed è assurdo pensare che nonostante strumenti normativi atti ad impedire l’insorgere di crimini contro l’umanità quali il genocidio, questi avvengano comunque, grazie anche al supporto di grandi potenze.
Celebrare = riflettere sulla Memoria
Per questo motivo ed alla luce di quanto appare evidente, per celebrare la Memoria bisogna mettere al bando l’ipocrisia. Limitarsi a ricordare il mero evento storico non serve a nulla e a nessuno, solo a qualche politico in cerca di visibilità. Il Giorno della Memoria deve servire da momento di riflessione: ammettere gli errori del passato, ma anche quelli del presente. Si, perché in passato, proprio come oggi, le istituzioni scelsero di stare dalla parte dell’oppressore: all’epoca si chiamava Germania Nazista, oggi si chiama Israele. Le istituzioni, in queste celebrazioni dovrebbero unirsi al coro unanime della popolazione civile, delle migliaia di persone che riempiono le piazze di tutto il mondo con la bandiera palestinese.
Perchè la Memoria serve affinché questo non accada mai più. Ma mai più a nessuno.